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circondato di carabinieri e guardie, ogni momento il giornale era minacciato di non potersi pubblicare per la fuga dei gerenti, che non aveva modo li per li di sostituire; la tipografia stessa era in continua ribellione, perché i repubblicani di Firenze, che avevano amici fra gli operai, li incitavano a fare sciopero. Le carte della Prefettura, con le quali volevasi provare che la Gazzetta d’Italia era sussidiata dal precedente Ministro dell’interno, erano portate al tribunale per coinvolgere il Cantelli nel processo. Il Nicotera lo accusò di menzogna, lui assente, in piena Camera, e il general Ricotti, come collega del conte Cantelli, sorse a difenderlo, e disse che si sarebbe potuto domandare anche al Ministro attuale come impiegava i fondi segreti. La discussione si appassionò, il Minghetti vi prese parte, e il Nicotera facendo l’apologia di se stesso, dicendosi superiore a qualsiasi eccezione, continuò nelle accuse asseverando che il Cantelli dava denari alla Gazzetta d’Italia. Il Corte ritirò la sua mozione, con la quale voleva che la Camera invitasse il Ministro ad esser più guardingo nel fare atti di autorità, ma l’incidente non fini qui e non poteva finire, perché il paese si appassionava a quel duello a oltranza fra un ministro potente e autoritario e un giornalista. Per pochi giorni il Nicotera si ritirò dalla scena politica e andò in Calabria, dicendosi ammalato; l’interim del ministero dell’interno fu preso dal Depretis, e si disse che il presidente del Consiglio, accorgendosi che il Nicotera era un motivo di debolezza per il ministero, lo avesse allontanato temporaneamente per indurlo poi a dimettersi. Invece il viaggio e l’interim non avevano altra mira che quella di contentare Cairoli, che insieme con Garibaldi e Miceli, voleva presentare uno schema di legge per pareggiare ai Mille i superstiti della spedizione di Sapri. Presente alla Camera il Nicotera, sarebbe stato indelicato sollevare quella questione. Il Sella prese subito la parola per dimostrare che il servizio reso al paese dalla spedizione dei Mille era grandissimo, ma che gli atti della Camera non dovevano essere determinati da tentativi parziali, che la storia dell’Italia moderna era ricca di tentativi gloriosissimi, e dando un posto d’onore così spiccato alla spedizione di Sapri, bisognava darlo anche agli altri, tanto più che la spedizione di Pisacane, del Nicotera e compagni, non era fatta sotto la bandiera della monarchia di Savoia, e non parevagli opportuno nè conveniente di prendere in considerazione il progetto di legge presentato da alcuni deputati.
Il Depretis, al quale poteva mancare il coraggio per le grandi iniziative, ma che era dotato di fino accorgimento politico, dichiarò che il Guerno, come egli diceva, doveva rimanere estraneo alla discussione, ma tanto per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e non scontentare il gruppo Cairoli, aggiunse che non poteva concordare con l’on. Sella quando accettava una ricompensa per i Mille, che compirono una spedizione coronata da esito portentoso, e la negava ai superstiti della spedizione di Sapri, che caddero al grido di: «Viva l’Italia».
L’on. Cairoli tacciò di scortesia nuova negli annali parlamentari, il rifiuto del Sella, il quale a sua volta replicò che mentre pendeva il processo di Firenze, processo che metteva in dubbio appunto l’eroismo del Nicotera, non doveva impegnarsi la Camera. Nonostante questa opposizione, il progetto di legge fu votato, e subito dopo, perfettamente guarito, il Nicotera tornava a Roma. Ma quel processo di Firenze doveva occupare anche il Senato alla ripresa dei lavori.
Il ministro dell’interno, in febbraio, interrogato dal Corte, mentre si discuteva la legge sulle incompatibilità parlamentari, se aveva intenzione di diminuire la scelta dei prefetti fra i deputati creando così un numero minore di noie, ed eliminando i danni che derivavano alla carriera delle prefetture, risponde che può assicurare che se tre deputati furono nominati prefetti, fu a loro richiesta e se faceva una nomina di cui la stampa si era occupata, avveniva per desiderio stesso del deputato. Ora la nomina in petto era quella del Correnti a Segretario dell’Ordine Mauriziano, e i