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Garibaldi ad accettare quello che il Governo poteva accordare. Ma Garibaldi fremeva, istigato com’era dai progettisti, che non gli davano tregua, e tanto per far qualcosa per ingannare l’attesa, mandò la seguente proposta ai deputati suoi colleghi:

«Quando una fortezza assediata, od una nave in ritardo si trovano mancanti di viveri, i comandanti ordinano si passi dall’intera alla mezza razione o meno. In Italia si fa l’opposto: più ci avviciniamo alla bolletta e più si cerca di scialacquare le già miserissime sostanze del paese.

«Io sottopongo quindi alla sagace vostra considerazione e approvazione la proposta di legge seguente:

«Finchè l’Italia non sia rilevata dalla depressione finanziaria, in cui indebitamente è stata posta, nessuna pensione, assegno o stipendio, pagati dallo Stato, potranno oltrepassare le cinque mila lire annue».


Il Governo fece portare dal Prefetto, dinanzi al Consiglio Provinciale, i lavori dei Tevere, affinchè prendesse una risoluzione circa al progetto di Garibaldi e a quello della Commissione conforme ai voti del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Il consigliere Vitaliani, appoggiandosi sui pareri degli uomini d’arte, propose si stabilisse d’incominciar l’opera dal tronco urbano, l’ingegner Partini fu della stessa opinione, ma siccome il consigliere Agosti prese le difese del progetto Garibaldi dicendo che non si doveva dargli con una deliberazione un voto di biasimo, il consigliere Baccelli propose la sospensiva, finchè non si fosse udito il parere degli ingegneri provinciali e finchè il Consiglio non avesse maturamente studiata la questione.

Peraltro il parere non fu udito e lo studio fu breve, perchè il giorno seguente il Consiglio Provinciale votava alla quasi unanimità la proposta della Commissione, che cioè i lavori dovessero incominciare dal tronco urbano, per preservare la città dalle inondazioni, senza danno di quelli che si sarebbero potuti fare a quello suburbano.

Un voto simile era dato dal Consiglio comunale; così l’on. Depretis, che aveva atteso a far presentare alla Camera il progetto di legge, poteva, scevro da ogni responsabilità, deporlo sul banco della presidenza. E infatti il giorno dopo subito l’on. Zanardelli lo presentò chiedendo fosse dichiarato d’urgenza.

Il progetto fu votato dopo pochi giorni dalla Camera e dal Senato, ma tutta quella fretta spiegata all’ultimo momento dal Depretis aveva una ragione.

Garibaldi aveva dato in quel volger di tempo le dimissioni da consigliere comunale e da deputato; le prime non furono neppur comunicate dal Sindaco alla Giunta; le seconde le ritirò dopo le deliberazioni dei due Consigli e quando, alla vigilia della presentazione del progetto di legge alla Camera, il presidente del Consiglio, armato delle due deliberazioni, potè indurlo a calmarsi dimostrandogli che il Governo doveva piegare il capo.

Garibaldi partì ai primi di giugno per Caprera, non certo pago, ma ammutolito, perchè fra i suoi amici contava uomini, che erano al Governo ed era circondato da persone aderenti al ministero. Se fosse avvenuto sotto il ministero Minghetti quello che avvenne allora, si sarebbe proclamato ai quattro venti che Garibaldi era stato giocato, e si sarebbero convocati comizii di protesta.

Gli amici degli amici di Garibaldi erano al potere e la consegna era il silenzio, e difatti il Generale non presiedė prima di partire neppure il comizio dei disoccupati al Corea, perchè il Depretis lo fece consigliare di astenersi.

Se nel fondo del cuore Garibaldi non era contento, neppure il Papa gioiva. Passato il primo momento di dolorosa meraviglia dopo l’annunzio del cambiamento d’indirizzo politico nel Governo,