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e fece alcune dichiarazioni assicurando che si sarebbe studiato di propugnare da quei banchi le idee stesse annunziate nel programma di Stradella. Egli aggiunse di voler dare più sincera esplicazione alle riforme costituzionali, specialmente nelle elezioni politiche, di riformare la legge elettorale, diminuire il numero dei deputati-impiegati, dare responsabilità personale e civile ai funzionari, migliorare le condizioni degli impiegati, elevare al più alto grado possibile la dignità e l’indipendenza della magistratura. Toccando le relazioni fra Chiesa e Stato dichiarò che il nuovo ministero non sarebbe mai stato aggressivo, ma non avrebbe neppure accarezzato nessuna illusione conciliativa. Circa l’istruzione annunziò che avrebbe ripresentato il progetto di legge sulla istruzione obbligatoria; nella politica estera avrebbe proceduto con prudenza non minore di quella usata dai suoi predecessori, e avrebbe procurato che l’Italia ritrovasse nelle simpatie dei popoli civili quel consenso che già aveva ottenuto dai Governi. In quanto alle faccende militari e di marina, il nuovo ministero avrebbe seguito la via già tracciata dal generale Ricotti, dall’ammiraglio Saint-Bon; in quanto ai lavori pubblici, il nuovo ministero voleva ristudiare i lavori del Tevere, la cui attuazione doveva esser prova che l’Italia era venuta a Roma per vivervi la vita del cuore. Il Presidente del Consiglio prometteva pure di studiare i trattati di separazione delle ferrovie dell’Alta Italia da quelli dell’Austria e di vedere quello che c’era da fare, senza propugnare l’esercizio governativo, se non parziale e provvisorio. Passando poi alla questione finanziaria riconosceva che dal 1870 in poi, le finanze si avviavano a un progressivo miglioramento grazie alla generosa longanimità del veramente eroico popolo italiano, e prometteva che la esattezza nelle riscossioni e la parsimonia nello spendere, sarebbero stati i cardini della finanza, le cui entrate non sarebbero state diminuite neppur di una lira. Ma nella esazione dei tributi, aggiunse, doveva entrare soltanto la giustizia, non la fiscalità. L’on. Depretis concluse dicendo che il Governo non era un partito, ma che c’era un partito che governava per la nazione.

Vedremo il nuovo partito al governo, che è la vera pietra di paragone dei partiti. Intanto l’on. Biancheri aveva dato le dimissioni, che non furono accettate. La Camera rimase chiusa fino al 23 aprile e quando si riaprì dopo Pasqua si vide un fenomeno strano; si videro cioè gli antichi ministri, tornati deputati, appoggiare i nuovi per difendere insieme con questi l’operato del governo di Destra e si sentì l’on. Nicotera, interrogato dall’on. Paternostro sul divieto di un meeting a Mantova a proposito del macinato, sostenere che i ministri hanno diritto di proibire le riunioni quando hanno scopi contrari allo Stato; e all’on. Massari, rispondendo a una interrogazione sui fatti di Corato, dire che la società democratica di quel paese essendo davvero ispiratrice di seri disordini, come asseriva la voce pubblica, egli aveva iniziato una seria inchiesta e attendeva il risultato di essa per isciogliere la società e mandare all’autorità giudiziaria le carte.

Andata al potere la Sinistra si accorgeva di non poter governare senza far rispettare l’autorità del Governo, e se il Nicotera non voleva prevenire, sapeva peraltro reprimere, come ha sempre fatto.

Erano dunque passati all’opposizione i vecchi ministri, ma non avevano perduto la loro autorità. Quando si trattò di difendere le nuove costruzioni navali, e specialmente il Duilio, il Saint-Bon prese la parola più efficacemente del Brin, e allorché il Nicotera propose solenni dimostrazioni per la morte dell’on. Asproni, il Minghetti, con la sua esperienza parlamentare, seppe richiamarlo all’ordine e se non trionfo fu per la prevalenza numerica degli oppositori, non perchè egli non sostenesse un principio giusto e accettato.

La presentazione del progetto di legge sulla lista civile dette occasione di fare al Depretis,