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Il 1870.



Agitazioni per l’acquisto di Roma — Partenza dei francesi — Provvedimenti del Governo italiano per occupare Roma — Forze pontificie — Gli zampitti — Il corpo d’osservazione — La missione Ponza di S. Martino — Il proclama del Cadorna agli italiani delle Provincie romane — Il passaggio del confine — La resa di Civitavecchia — La missione Arnim — Gl’intendimenti del General Cadorna — La breccia di Porta Pia — L’ingresso delle truppe — Incidenti in città — Nino Costa al Campidoglio — La partenza dei prigionieri — Il comizio al Colosseo — La Giunta del general Cadorna — Primi atti della Giunta — Il plebiscito — Una parte del patriziato dal Papa — Feste e feste — La deputazione del plebiscito a Firenze— L’arrivo di Lamarmora — Le commemorazioni patriottiche — L’inaugurazione del Liceo «Ennio Quirino Visconti» — La Guardia Nazionale Romana — Il primo Parlamento con i rappresentanti di Roma — Agitazioni — I preparativi per l’ingresso del Re — L’inondazione — Vittorio Emanuele a Roma.


«O Roma, o morte!» era il grido che da molti anni, prima del 20 settembre 1870, teneva agitata l’Italia. Aveva echeggiato la prima volta, allorchè i mille di Marsala divenuti potente legione, erano riusciti a fugare innanzi a sè gli smarriti soldati borbonici, e a indurre Francesco II ad abbandonar Napoli per rinchiudersi a Gaeta. Allora, senza l’esercito piemontese, che sbarrò a Garibaldi la via di Roma, quel grido, manifestazione del desiderio di tutto un popolo, avrebbe per breve momento echeggiato trionfante anche nella Urbe, finchè l'esercito dell’alleato di Magenta e di Solferino, divenuto nemico, non lo avesse fatto tacere con le fucilate. «O Roma, o morte!» aveva echeggiato nel 1866, dopo la riunione di Venezia all’Italia, quando più dolorosa facevasi sentire la mancanza della storica capitale del nuovo regno; e quel grido di brama, di speranza e di dolore a un tempo aveva scosso tutti i cuori italiani nel 1867. Da ogni contrada d’Italia partivano a frotte i giovani baldi per muovere alla liberazione di Roma, e il popolo li salutava con l’evviva sulle labbra e col pianto negli occhi, e ogni volta che un reggimento in assetto di guerra lasciava una città per incamminarsi verso la frontiera degli Stati Pontifici, erano lagrime di tenerezza, che spargeva la folla adunata per dare il saluto ai soldati. «A Roma!» dicevano essi, e il popolo ripeteva il voto: «a Roma!» Milioni di figli chiedevano la liberazione della madre gloriosa, milioni di cuori la invocavano. Il miracolo della unificazione della patria, compiuto in poco più che un decennio, perdeva il suo valore agli occhi degli italiani; pareva che nulla si fosse fatto se mancava al nuovo regno il caput mundi, simbolo di grandezza nel passato, di pace nell’avvenire.

Dopo le amare delusioni del 1867, il desiderio di Roma si fece così ardente nel popolo, che l’Italia quasi ne ammalò. La vita di lei pareva sospesii dall’ansietà, e tutto dava occasione per chiedere