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Per quell’occasione Ulisse Bacci e Castellazzo avevano dettata una poesia, che fu messa in musica dallo Swicher ed eseguita dai cantanti dell’«Apollo», Ernesto Niccolini ed Emma Wiziack. Una strofa della cantata diceva:

«Qui l’uman genio si feconda, e l’ali
Ad altissimo volo erge il pensier,
Qui siam fratelli, liberi ed uguali,
Qui solo ha culto e solo ha scettro il ver».

Quel primo tempio massonico era molto modesto in confronto della bella sede che ebbe poi al palazzo Poli, e che ha adesso al palazzo Borghese, ma per chi conosce l’odio che hanno sempre avuto in Vaticano per la massoneria, capirà quanto dovesse riuscir doloroso di vedere che essa si stabiliva pubblicamente a Roma.

Il dolore per l’inaugurazione del tempio massonico fu anche maggiore di quello che i clericali risentivano vedendo sorger tante chiese protestanti. Ve n’era una Scozzese e una Presbiteriana fuori di Porta Flaminia, una Valdese in via delle Vergini, ove il pastore Ribetti richiamava sempre un numeroso uditorio, una alla Scrofa di evangelici Wesleiani, una in piazza San Silvestro, che credo appartenesse alla cosidetta chiesa Alta Inglese, una di Battisti in piazza San Lorenzo in Lucina, e pertutto si predicava il Vangelo e si raccomandava la lettura della Bibbia. Ma, ripeto, il dolore maggiore era prodotto dal vedere la massoneria pubblicamente istituita.

La sera del 9 febbraio Roma fu sgomentata da un atroce delitto che ebbe conseguenze inattese. Ho avuto più volte occasione di parlare di Raffaele Sonzogno, che il 20 settembre era venuto a Roma conducendo dietro a sé la redazione, i tipografi e perfino le macchine per istampar subito un giornale. Quel giornale, nato il 21 settembre, si chiamava La Capitale ed ebbe una influenza non buona. Battagliero era il proprietario, e tutti i malcontenti, i ribelli per istinto gli si aggruppavano intorno. Era stata La Capitale che aveva portato su Giuseppe Luciani e sostenendolo a spada tratta, avevalo fatto entrare per pochi giorni alla Camera. Negli ultimi tempi aveva preso a biasimare i miti sentimenti di Garibaldi, censurandolo per essere andato al Quirinale, e si mostrava più garibaldino del generale.

La Capitale aveva gli uffici in Via de’ Cesarini e Raffaele Sonzogno era solo in ufficio. A un tratto dalla tipografia, che era al pianterreno, lo udirono gridare chiedendo aiuto. Accorsero e lo trovarono morente; egli non ebbe tempo di profferir parola prima di morire. L’assassino fu arrestato subito; era un certo Pio Frezza.

Sul subito si credè che l’uccisione fosse conseguenza di qualche vendetta politica. I fratelli dell’ucciso vennero da Milano, gli fecero fare solenni funerali; all’accompagnamento funebre parteciparono i direttori e i redattori di molti giornali ed era ancor vivo l’orrore per il truce fatto, quando si sparse per Roma la notizia dell’arresto di Giuseppe Luciani e di molti altri complici. Ma il Luciani era il personaggio più noto. Si rammentavano di lui molte cose non belle: l’aggressione contro il direttore del Fanfulla, che non volendo chiedergli soddisfazione con le armi dopo udito il verdetto di un giurì d’onore, l’aveva deferito al tribunale; il suo teatrale ingresso a Roma; l’influenza nefasta esercitata qui per cinque anni e molte altre cose ancora.

Egli fu arrestato al ritorno di un viaggio a Torino e non gli si permise altro che dopo molto tempo di conferire con il suo avvocato; ricorse in Cassazione contro la sentenza della Sezione