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Il 1875.
L’anno che nasceva era stato dichiarato dal Papa in un’enciclica «Anno santo» e istruzioni erano state inviate ai vescovi, per indurre i fedeli a recarsi numerosi a Roma, e usufruirvi della remissione dei peccati.
Ma prima che i pellegrini potessero rispondere all’appello del Vaticano, venne a Roma Garibaldi, che non vi era più stato dal 1849. Egli vi giunse da Caprera, per la via di Civitavecchia, il giorno 25 di gennaio. Il Municipio e la Guardia Nazionale gli avevano preparato una accoglienza ufficiale, ma l’entusiasmo del popolo fecela apparire meschina in confronto dell’altra. Quando il fischio della locomotiva si fece udire, dall’immensa calca di popolo adunato sotto la stazione e fuori, parti un lungo evviva, che continuò per alcuni minuti. Eugenio Anieni e l’on. Avezzana, presentarono al Generale, appena i gridi si furono alquanto calmati, Pietro Venturi, nominato sindaco in quei giorni, e altri sollevarono fra le braccia la piccola Clelia, figlia di Garibaldi, affinché egli potesse baciarla. Garibaldi vestiva il mantello bianco, la tradizionale camicia rossa e il berretto turchino ricamato d’oro; scese dal compartimento, e appoggiato al braccio di Menotti e di Basso, traversò lentamente la folla per giungere alla carrozza del municipio, che lo attendeva. Questa era circondata da un’onda di popolo, che staccatine i cavalli, diedesi a trascinarla. Erano nella carrozza Basso, Bedeschini e Luigi Belardi; a cassetta Napoleone Parboni e Galiano; la precedevano alcune bandiere delle Società Operaie. Garibaldi di tanto in tanto si alzava per ringraziare.
La carrozza pesante avanzava lentamente fra la folla percorrendo piazza di Termini, via Santa Susanna e via San Nicolò da Tolentino. Garibaldi doveva andare al palazzo di via delle Coppelle, dove abitava Menotti, e dove è stata per tanti anni la direzione del Popolo Romano, ma quando giunse sotto l’Albergo Costanzi, che ora è trasformato in Seminario dei Gesuiti, il Generale dette