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Vittorio Emanuele nel suo discorso inaugurale ringraziò il popolo per le dimostrazioni fattegli nella ricorrenza del 25° anniversario del suo regno e aggiunse che, unificata la legislazione civile, doveva essere anche la penale, e che sarebbe stato ripresentato alla Camera un progetto di legge in proposito. S. M. annunziò pure il progetto di legge sul giure commerciale, i provvedimenti per ristabilire la sicurezza nelle provincie, ove fosse minacciata, i progetti di legge per l’esercito e per la marina, e termino dicendo:

«Intanto bisogna far sosta a nuove spese; il Parlamento avrà quindi ad occuparsi di quelle sole per le quali fu già preso impegno, e la cui urgenza sia evidente. Però il mio Governo nel proporvele vi indicherà insieme nuovi provvedimenti atti a farvi fronte.

«Non dipartendovi da tali norme, Voi riuscirete a porre nel bilancio del Regno l’equilibrio, che è il più ardente desiderio della Nazione. Il conseguimento di questo fine sarà compenso e conforto ai tanti sacrifizi che il popolo ha sostenuto con nobile coraggio.

«Cosi il risorgimento italiano, scevro di ogni macchia, avrà anche questo vanto, si raro nella storia dei muta menti politici, di non aver accolto mai il pensiero di venir meno alla sua fede politica».


Il Re nel terminare il discorso alluse alle buonissime relazioni dell’Italia con le potenze estere, e all’abbondanza del raccolto, da cui avrebbero avuto sollievo le classi meno agiate.

Il discorso fu giudicato alquanto casalingo, ma non poteva avere altra intonazione. Per l’Italia era chiuso il periodo epico, bisognava che agli entusiasmi succedesse il lavoro proficuo, e che essa approfittasse della sua rinnovellata giovinezza per provare che era prudente nella pace, com’era stata ardimentosa nelle imprese.

Il conte Des Ambrois, che visse in carica pochi giorni soltanto, venne dal Re nominato presidente del Senato; alla Camera fu eletto Biancheri contro Depretis, candidato dell’opposizione; ma il trionfo del Biancheri non poteva infondere fiducia di nuove vittorie nel Governo, il quale si vedeva sempre schierate davanti e compatte le due falangi avversarie; forte di 95 deputati quella napoletana, e di 41 la siciliana.

La Sinistra impegnò la battaglia sulle elezioni dell’Alatri nel 2° collegio di Roma, ma non vinse. S’impugnò la validità di quella elezione perché il Prefetto aveva fatto iscrivere gl’impiegati sulle liste elettorali, senza tener conto che ne aveva fatti iscrivere pure nelle liste del 1° e del 3°, ove erano stati eletti Garibaldi e Baccelli.

Nel 4° collegio è annullata l’elezione di Giuseppe Luciani, e proclamata invece quella di don Augusto Ruspoli. Il Luciani non aveva l’età stabilita dalla legge, ma nonostante aveva voluto essere eletto e alla Camera aveva parlato aspramente contro il Presidente.

Garibaldi optò per il 1° collegio, così che rimase vacante il 5°, ma non vi fu elezione prima della fine dell’anno. Egli era in grandi angustie finanziarie e molti Comuni gli avevano votato sussidii e dotazioni annue. Al Consiglio Comunale di Roma pendeva una proposta simile e l’on. Caranti aveva invitato la Camera a provvedere per il Generale con un assegno di 20,000 lire annue. Era non solo un atto di omaggio che gli si voleva rendere, ma anche una specie di tacita protesta contro la Francia, che mostravasi così poco riconoscente per lui. Ma la Camera rimase così poco adunata dalla sua convocazione alle vacanze natalizie, che ebbe appena tempo di convalidare le elezioni. Ma già se ne capiva l’umore, tanto che gli uffici respinsero subito il progetto di legge, presentato dal Minghetti, sulla pubblica sicurezza, e il Presidente del Consiglio, per evitare maggiori battaglie, rinunziò a ripresentare quello sulla nullità degli atti non registrati.