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giornali cattolici e del Vaticano, perchè don Filippo era per diritto ereditario, dopo la recente morte del padre, principe assistente al Soglio. I liberali credevano di aver fatto una conquista mettendo don Filippo nel Consiglio, ma il teinpo dimostrò che la speranza era vana.

In quell’anno Pio IX aveva veduto morire tre cardinali. Il primo fu il Tarquini, il secondo il Bernabò, prefetto di propaganda, al posto del quale venne nominato il Franchi, il terzo il Falcinelli, già nunzio a Vienna al tempo del viaggio del Re. Nell’estate egli ebbe il dolore di veder morire anche monsignor Saverio de Merode, che aveva un grande ascendente sull’animo del Pontefice, e non sempre buono. Gli dette per successore monsignor Samminiatelli, pisano, che fè consacrare vescovo di Lida.

La morte del battagliero monsignor de Merode fu una perdita per il Papato. Era nato a Brusselles, nel 1820, ed aveva seguito nella prima giovinezza la carriera delle armi sotto la bandiera francese guadagnandosi la medaglia della legion d’onore sul campo di battaglia. Nel 1849; dopo la fuga del Papa, venne a Rona con l’intenzione di farsi prete, e con una raccomandazione del suo parente de Courcelles fu introdotto presso Pio IX a Gaeta. La nomina del de Merode a cameriere partecipante e coppiere porta appunto la data di Gaeta. Nel 1860 fu nominato proministro delle armi, carica che serbò fino al 1866. Allora cadde in disgrazia, dovette allontanarsi, e fu creato arcivescovo di Militene; in seguito ebbe la carica di elemosiniere segreto, e nel 1870 era in auge, ma l’opposizione fatta al dogma della infallibilità, raffreddò Pio IX verso di lui. Però dopo l’occupazione era divenuto un’altra volta potente, e di questa sua potenza si valeva per aizzare il Papa contro l’Italia, di cui era fierissimo nemico. Se Pio IX avesse ascoltato soltanto il de Merode e non talvolta anche i consigli ispirati a maggior moderazione dell’Antonelli, sarebbe partito da Roma.

È curiosa la contradizione che vi era nel carattere del prelato belga. Mentre in fatto di vedute rispetto alla religione e al Papato si mostrava assolutamente retrivo ed intransigente, intendeva la vita in un senso veramente moderno, traeva partito dai vantaggi che essa offre, e le sue idee erano vaste ed illuminate. A lui Roma deve molto, e specialmente di aver capito, prima dell’occupazione, che era necessario si trasformasse. Per suggerimento del de Merode il Papa fece costruire le case operaie in piazza Mastai, che furono pronte molto prima di quelle decretate a suon di banda dal Pianciani al Testaccio, e in quelle case molte famiglie popolane trovarono alloggio per trenta lire mensili, godendo di un sano quartierino di quattro stanze.

Il Papa vide il de Merode durante l’ultima malattia e gli fece fare solenni funerali in San Pietro. Il cadavere fu sepolto nel cimitero teutonico di Santa Marta. Per mostrare a che punto monsignor de Merode fosse invelenito contro l’Italia, basti citar questo fatto: Nel 1873 scrisse una lettera al Procuratore del Re invitandolo a radunare il Senato in alta corte di giustizia per giudicare il comandante della divisione di Roma, che era il principe Umberto, perchè aveva fatto tirar le cannonate in occasione dello Statuto dalla caserma del Macao, sulla quale non cessava di acampar diritti di proprietà. Invece usciva sempre, si faceva vedere ovunque lo chiamava la sua prodigiosa attività, trattava affari di cessioni di terreni col Municipio e col Governo, e comprò anche molti beni delle corporazioni religiose. Lasciò al fratello un ingentissimo patrimonio qui, e un altro nel Belgio.

Del resto non era il solo che comprasse quei beni, nonostante la scomunica. Quando si facevano le aste non rimanevano mai deserte, anzi vi partecipavano molti, e i beni salivano all’asta.

Il Vaticano aveva trovato un mezzo per evitare la scomunica agli acquirenti scrupolosi.

La Congregazione dei Vescovi Regolari rilasciava uno strano documento. Era un foglio della grandezza di un brevetto militare, in alto aveva lo stemma papale, sotto la formula mediante la