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del 1859 alle provincie nelle quali non era stata estesa, ordinata dal ministro Cantelli, come reggente il ministero della pubblica istruzione, urtò il sentimento dei clericali italiani, che mal tolleravano di vedersi sfuggir di mano con le scuole gratuite e obbligatorie, la direzione dell’insegnamento. L’altro progetto di legge sull’obbligo della precedenza del matrimonio civile, presentato dal ministro di grazia e giustizia Vigliani, che è inutile dire che non fu approvato, provocò una rispettosa lettera collettiva dei vescovi Lombardi al Re, alla quale S. M. non rispose.

Una causa assai brutta si svolse nel mese di marzo alla pretura urbana di Firenze, per l’abuso di libretti ferroviari concessi ai deputati. Gli accusati erano Achille Montignani, giornalista, e i deputati on. Corrado e on. Emanuele Ruspoli. Il Montignani viaggiava con gli scontrini di questi due deputati, e scoperto, asserì di averli ricevuti in compenso di servigi elettorali. I due deputati sostenevano di averli perduti e furono assolti, ma il pretore pronunziò una sentenza che non poteva contentarli. Ne nacque un finimondo, nientemeno che si chiedeva di processare il pretore di Firenze per la sentenza. Ruspoli si dimette da generale della Guardia Nazionale e da deputato; Corrado ne segue l’esempio. La Camera si occupò di quella faccenda e il Pissavini attaccò la magistratura, che trovò nel Vigliani un valido difensore.

In tutta Italia si voleva festeggiare solennemente il venticinquesimo anno dell’assunzione al trono di Vittorio Emanuele, che ricorreva il 23 marzo, data infausta della battaglia di Novara. La prima proposta parti da Firenze, ove il Re aveva tanti devoti ed entusiasti ammiratori delle sue grandi virtù. In un momento fu accolta da tutti i monarchici, e il Senato prima, e la Camera dopo votarono un caldo indirizzo di devozione e di gratitudine. Quest’ultimo fu redatto dal Massari.

Il Governo aveva stabilito di lasciare ai Comuni l’iniziativa della testa, che però esso vedeva con vera soddisfazione. I vescovi domandarono istruzioni al Papa sulla via da seguire. Fu loro risposto che il clero poteva associarsi alla festa in Piemonte e in Liguria perché in quegli Stati Vittorio Emanuele era re legittimo; lo stesso poteva fare in Lombardia e nella Venezia, poiché paesi di conquista. Là, e nei primi erano permessi i Te Deum di ringraziamento; nelle altre provincie si doveva tollerarli; a Roma nulla. Queste le istruzioni del Vaticano, che furono seguite a puntino.

La dimostrazione di affetto al Re riuscì imponente. Da ogni Comune vennero deputazioni e furono accolte degnamente dal Municipio di Roma. Il sindaco Pianciani era gravemente ammalato e l’assessore Galletti dovè farne le veci. Il Municipio doveva recarsi al Quirinale con i carrozzoni di gala, seguiti da trentacinque carrozze conducenti i sindaci d’Italia, ma per i carrozzoni mancavano i cavalli. Nessun animale, per quanto robusto, poteva tirarli. A tempo del Papa i cavalli erano forniti, nelle solenni occorrenze, dalle scuderie vaticane. Si rimediò alla meglio con cavalli dei trasporti merci.

Il sindaco aveva emanato il giorno prima il seguente proclama:

«Romani!

«Il giorno di domani segna il primo giubileo dell’Unità Italiana.

«Or sono venticinque anni, l’Italia era nel lutto della sconfitta, divisa nell’oppressione, stretta da catene ribadite da ferro straniero.

«Ansiosa essa affiggeva lo sguardo sul giovane Principe, che osava raccoglierne il vessillo, e forte del suo valore, della sua fede nel diritto e nella libertà, della volontà nazionale, inalzarlo di fronte al vincitore d’allora a sfida per l’avvenire.

«E la sfida fu vinta: domani Vittorio Emanuele, Re degli Italiani, riceverà in Roma gli attestati della riconoscenza, che lega a lui ogni parte d’Italia.