Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 100 — |
di Piemonte, la Granduchessa e il duca d’Assia-Cassel, Vittorio Emanuele comparve in un palco di proscenio, vestito alla buona, come al solito. L’orchestra svelò il suo incognito, suonando la marcia reale e il pubblico gli fece una ovazione, che durò venti minuti. Il Re non poteva più esimersi dall’andare a far visita alle signore, ma non era vestito in modo da presentarsi. Che fa allora? Chiede al Gadda che gli presti il vestito nero e la cravatta bianca, e siccome nel vestito del prefetto stava a disagio e si vedeva bene che non era fatto a suo dosso, entrando nel palco di Corte, raccontò subito l’aneddoto, e fu il primo a ridere della figura che faceva.
L’Imperatrice che si trovava qui per la festa dello Statuto, non assistè dal palazzo Altoviti allo spettacolo della girandola a Castel Sant’Angelo. Vi andò la granduchessa Maria Alessandra insieme con i Principi Reali; anzi la giovane Granduchessa accendendo un piccolo razzo, che traversò il Tevere, dette il segnale dell’incendio. I Principi Reali condussero l’Imperatrice a fare una escursione ad Albano e negli altri castelli. La Czarina rimase così invaghita di quei luoghi, che cambiò l’itinerario del viaggio e andò a passare alcuni giorni alla villa Chigi all’Ariccia. Da Roma passò fermandosi appena alla stazione, ove fu salutata dalla Famiglia Reale; però aveva inviato al Quirinale la figlia per ringraziare il Re e i Principi delle cortesie usatele.
Questo viaggio non ebbe nessun significato politico, ma servì a stabilire legami di amicizia fra le due Corti.
Durante il soggiorno dell’Imperatrice a Roma, furono scoperte due riunioni dell’Internazionale e ne vennero arrestati i capi, nessuno dei quali era romano. Una delle riunioni era tenuta in via del Governo Vecchio, l’altra al vicolo Bologna in Trastevere. Sequestrando le carte si vide che l’associazione aveva rapporti con tutte le altre simili dell’estero. In Roma aveva 800 affigliati nei diversi rioni. I capi, quando furono arrestati, gridarono: «Viva l’anarchia! Viva la liquidazione sociale!»
In maggio moriva il duca Mario Massimo, uomo colto, stimato, che non aveva negato il suo aiuto alla città dopo il 20 settembre. Gli ultimi tempi della sua vita furono contristati da un clamoroso processo, fra il figlio e Rodolfo Volpicelli, suo grande amico. La vedova, che era una Boncompagni, non volle che il municipio gli rendesse solenni onori. Nonostante gli onori gli sarebbero stati resi dalla Guardia Nazionale, ma i clericali fecero trasportare il cadavere al Campo Verano prima dell’ora stabilita, per evitarli.
Il 31 maggio moriva anche il generale Lipari, romano, comandante della Guardia Nazionale, che aveva combattuto nel 1848 e nel 49, e poi dai Cacciatori delle Alpi era passato nell’esercito regolare, ove aveva raggiunto il grado di colonnello. Egli fu sinceramente rimpianto, ma la morte del Rattazzi avvenuta a Frosinone, e i solenni onori che gli furono resi da Roma, impedirono che della morte del Lipari si parlasse molto.
Il corpo di Urbano Rattazzi giunse a Roma la mattina 8 giugno e fu ricevuto da alcuni membri dell’«Associazione Progressista» e quindi trasportato nel palazzo Santacroce a piazza Branca, ove la famiglia Rattazzi abitava. Là venne imbalsamato. Alla Camera, Pisanelli, Depretis e Crispi, oltre il Presidente, avevano fatto la commemorazione del collega; il Re aveva ordinato che tutti gli ufficiali della sua casa assistessero al trasporto, il principe Umberto reggeva uno dei cordoni del feretro, tutte le truppe erano schierate sul passaggio fino alla stazione, ove il conte Pianciani consegnò il cadavere al sindaco di Alessandria.
Il trasporto fu solenne per il concorso dei ministri, del Parlamento, delle truppe, per la presenza del Principe Ereditario, ma non commovente. Il Rattazzi non era un uomo che riscotesse vive simpatie, e sulla opera politica di lui i pareri erano molto divisi. Anche ora, dopo più di venti