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ove il padre Secchi, per ordine del Vaticano, faceva dotte conferenze astronomiche per dimostrare che i clericali avevano maestri sommi.

La città continuava ad abbellirsi. Il municipio aveva comprato il palazzo Aldobrandini al Pantheon per allargare intorno al monumento e decretava la demolizione delle casupole intorno a quello addossate, che tanto lo deturpavano. I lavori della via Nazionale erano rimasti un poco incagliati per le controversie sullo sbocco della via. Il progetto dell’ingegnere Viviani, che richiedeva grandi espropriazioni, fra le altre anche quella del palazzo Sciarra, incontrava vive opposizioni. Il Fanfulla si fece sostenitore dell’idea di fare sboccare la via Nazionale a piazza Venezia, e vinse.

All’Esquilino la Società Genovese in otto mesi terminava il primo grande caseggiato, che è quello che fa angolo fra la via Principe Umberto e Viminale, e tracciava tutte le vie di quel vasto quartiere, che il municipio aveva decretato dovessero portare il nome di uomini che si fossero segnalati nel periodo del nostro risorgimento nazionale.

La via dei Chiavari era stata pure allargata, si facevano esperimenti di pavimentazione e il municipio faceva togliere tutti paracarri dai lati delle porte per render più facile il passaggio dei pedoni sui marciapiedi; e i lavori attorno alla basilica di Santa Maria Maggiore e in via delle Quattro Fontane si facevano con sollecitudine. Già qualche cosa sorgeva pure alla Porta San Lorenzo, ma gli alloggi, specialmente per il popolo, mancavano ancora, e una società di signori romani, presieduta dal principe Borghese, che già prima del 1870 erasi costituita per provveder case operaie e una ne aveva costruita sullo stradone di San Giovanni, si rimetteva all’opera per non lasciare forse che tutto l’onore di provvedere di alloggi il popolo spettasse ai buzzurri.

In forza di un contratto fra il municipio e la fabbriceria di San Pietro, questa piazza era divenuta proprietà municipale e fu un gran bene, perchè prima era trasandatissima e appena illuminata. Il municipio ne fece restaurare il pavimento e la fornì di candelabri a gaz, come aveva fornito di panchine la passeggiata del Pincio, e cercò con ogni mezzo di dare alla città un aspetto più decente, concludendo un contratto per la nettezza urbana e obbligando i proprietari delle case a illuminare gl’ingressi dall’imbrunire alla mezzanotte.

Anche la Casa Reale faceva costruire scuderie dalla parte del Lavatore del Papa e rifaceva la villa Potenziani fuori di Porta Salara, che poi prese il nome di villa Ada, e nella palazzina in via Venti Settembre preparava un quartiere più adatto per il Re, ove per altro Vittorio Emanuele non abitò mai.

Il quell’inverno 1873 non mancarono a Roma le visite principesche. Venne il principe Arturo d’Inghilterra, gran ballerino di «Sir Roger» e appassionato per le caccie alla volpe. Il principe Umberto ve lo accompagnava spesso, e spesso lo invitava al Quirinale. Il principe Arturo andava in tutte le case romane, e il ministro Paget dava pranzi e ricevimenti in suo onore. Vennero pure il principe Adalberto e la principessa di Baviera, il duca d’Edimburgo, che andò a raggiungere la fidanzata granduchessa Maria Alessandra di Russia, a Sorrento. Anche il granduca Wladmiro fu a Roma e i Principi di Piemonte andarono a Sorrento a visitare l’imperatrice di Russia. Questa nel passar da Roma in marzo per andare sull’ameno golfo di Sorrento, non si era fermata a Roma, ma al ritorno in maggio vi fece una lunga sosta, insieme con la figlia. Abitava alla Legazione di Russia al palazzo Feoli sul Corso, e fu ricevuta dal Re e dai Principi Reali in forma ufficiale. La nostra Corte la colmo di cortesie. L’Imperatrice era ammalata e non facevasi molto vedere, ma la giovane Granduchessa divertivasi di cuore ed era instancabile. L’Imperatrice accettò soltanto una colazione dalla principessa Margherita nel giardino del Quirinale, ma non andò alla serata di gala all’«Apollo» e non doveva andarvi neppure il Re. Quando nel palco di corte erano già i Principi