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a Roma della legge italiana sulla soppressione delle Corporazioni religiose. La dimostrazione s’improvvisò subito, e attraversando il Corso, gridava: «Abbasso il Ministero! Abbasso le corporazioni religiose! Abbasso i pretoriani!» alludendo a una parola sfuggita all’on. Emanuele Ruspoli alla Camera. I dimostranti giungendo alla via dell’Umiltà, ne trovarono sbarrato l’accesso dalle guardie e dai carabinieri, e allora, dividendosi, si gettarono in piccoli gruppi nelle altre vie, che egualmente mettevano al Quirinale. Ma la salita della Dateria era pure sbarrata. La folla peraltro non si sgomento e al grido: «Al Quirinale!» cercava di rompere le file, tanto che guardie e carabinieri dovettero sfoderare le daghe e le sciabole per respingere i più turbolenti. Vi fu una colluttazione, e le guardie fecero sedici arresti. Intanto che questo accadeva ai piedi del Quirinale, un’altra dimostrazione si formava al Corso. I dimostranti vedendo passare il duca di Sermoneta, lo circondarono, lo applaudirono, e due di essi prendendolo a braccetto, lo ricondussero al suo palazzo, ove nel giungere egli li pregò di sciogliersi. Quegli stessi dimostranti, nel tornare addietro, incontrarono in via del Plebiscito l’on. Minghetti, insieme col general Cerroti, e riconosciuto il primo dei due, si diedero a gridare: «Abbasso i deputati!» e ad incalzare lui e il suo compagno, minacciandoli con ombrelli e bastoni. Il Minghetti ebbe un colpo sulla testa. Un certo Luigi Belardi e altri cittadini s’intromisero, e il Minghetti potè rifugiarsi nella vicina caserma. Il Minghetti era stato ferito, non gravemente, alla testa, e il giorno seguente venne subito alla Camera la faccenda della dimostrazione, mediante una interrogazione violenta del Sesmit-Doda al Presidente del Consiglio, e una più temperata del Cairoli, sul divieto del meeting, che, secondo essi, era stato causa dei dolorosi incidenti. Due altre interrogazioni furono fatte da Ruspoli e da Codronchi sui fatti stessi. Don Emanuele Ruspoli, accennando come a Roma vi fossero centri di reazione e di sovversione, invitava il Presidente del Consiglio a punire gli attentati contro la legge, da qualsiasi parte venissero. Il Minghetti assisteva alla seduta e dopo aver ringraziato il Lanza, il Ruspoli e il Cairoli, disse che la folla che lo circondava aveva gridato: «Morte ai deputati!» Egli prese occasione di dichiarare che avrebbe sempre, come rappresentante della nazione, adempiuto il suo ufficio, nonostante le pressioni e gli ostacoli.
La piazza Montecitorio, dopo la seduta del 12 era affollata di gente, e quando i deputati uscirono, fu gridato ripetutamente: «Viva i deputati! Abbasso le corporazioni religiose!» Dopo questa dimostrazione, in mezzo alla quale il Sella e il Lanza erano passati soli, nonostante che si sapessero minacciati, Napoleone Parboni sali sulla base dell’obelisco e arringò i dimostranti, raccomandando loro di non turbare in nessun modo le discussioni della Camera, e di attendere con calma il voto, dopo il quale il popolo avrebbe detto l’ultima parola.
Quella stessa sera la Capitale era sequestrata, e dietro mandato di cattura venivano arrestati Raffaele Sonzogno, Giuseppe Luciani e il Colacito; ma non per questo il giornale cessava le pubblicazioni, perché il Bilia e il Mussi ne prendevano subito la direzione.
Il Consiglio comunale, su proposta del consigliere Venturi, esprimeva un voto di biasimo per l’atto di cui era stato vittima l’on. Minghetti, e dalla cittadinanza giungevano al deputato di Legnago grandi attestati di simpatia.
Il 17 maggio, mercè un emendamento dell’on. Ricasoli, è approvato dalla Camera il famoso articolo secondo della legge sulle corporazioni religiose, che riguarda specialmente le Case generalizie, rifatto dalla Giunta prima, e che venuto in discussione plenaria, minacciava di far naufragare tutto il progetto di legge.
Il progetto primitivo del Governo, creava a Roma tante Case generali, quanti erano gli ordini,