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non nel farlo accettare in massima, perchè di quella necessità tutti erano convinti, ma per il modo della applicazione.
In Vaticano si seguivano con grande ansietà i lavori della Giunta parlamentare, di cui era relatore il Restelli, ed aveva destato doloroso stupore che l’abolizione delle Corporazioni religiose fosse stata estesa alle Case generalizie. Si sperava che il Governo non l’avesse accettata e ne fosse nata una crisi ministeriale; invece questa fu provocata prima ancora della presentazione del progetto di legge, e il Sella si dimise e con lui tutto il ministero, a proposito della discussione sul progetto di legge per l’arsenale di Taranto. Ma la Corona non accettò le dimissioni e il ministero tal quale si ripresentò alla Camera, consigliato dal Minghetti, dal Ricasoli, dal Pisanelli e da altri, per non ritardare la discussione della legge sulle Corporazioni religiose. Il Governo e gli uomini della destra non ignoravano che la soppressione delle Case generalizie, specialmente dopo il grido d’allarme diretto dal Vaticano ai vescovi, minacciava un movimento maggiore di ogni altro provvedimento. Il signor de Courcelles aveva inoltre, per ordine del Papa, attratta l’attenzione del signor Thiers sui sentimenti radicali della Camera italiana. Tutta l’accortezza del ministro Visconti-Venosta era spesa nell’evitare rimostranze come nel passato, per sottrarre l’Italia all’ingerenza dell’Europa.
Quelli che più strepitavano erano i collegi esteri di Roma, i quali soprattutto erano furenti per la progettata soppressione del Collegio Romano, che sostenevano dovesse esser considerato come ente internazionale, perchè dotato dai Papi con sussidii propri e con sussidii venuti dall’estero. Quei collegi protestavano col Lanza e con i loro rappresentanti presso il Governo italiano.
Mentre in seno della Giunta e alla Camera stessa si discuteva la legge sulle Corporazioni religiose, la Curia romana e i seguaci di lei, non si stancavano di punzecchiare il Governo e di eccitare una reazione nel partito liberale con attacchi continui. La «Società per gl’Interessi Cattolici» trasferiva la sua sede al palazzo Costa al Corso, sopra al magazzino Cagiati, ove già teneva adunanza il comitato della mazziniana «Associazione Italiana» e lavorava a più non posso per infiammare gli animi, e al pari di altri circoli cattolici iniziava una sottoscrizione per protestare contro la legge sulle Corporazioni religiose. Il cardinal Patrizi, vicario di Roma, domandava al procuratore del re di processare la Capitale, che discuteva la vita di Gesù Cristo. Al Gesù il padre Cornoldi predicava contro i buzzurri e la soppressione, il padre Lombardini si scagliava contro gl’invasori, perchè vi era stato per mezza quaresima un veglione all’Apollo, e contro il municipio per aver introdotto il servizio delle pompe funebri. Altri predicatori dal pergamo si affannavano a riprovare e maledire tutto quanto faceva il Governo, e i giornali clericali univano l’opera loro a quella delle società cattoliche, dei predicatori e dei parroci, e infiammavano le popolazioni cattoliche dei paesi stranieri e anche d’Italia, tanto che in primavera vi fu la minaccia di un moto clericale in Calabria. Ogni mezzo di guerra era buono. Le maestre delle Scuole Pie, che il Papa riceveva così spesso, avevano insegnato alle loro alunne una canzone, da cantarsi al Pontefice, che diceva precisamente:
La bandiera tricolore |
Pellegrinaggi dall’Austria e dalla Francia venivano continuamente a Roma e dicevano cose da orbi contro il Governo e contro i liberali. Quello guidato dal visconte di Damas, legittimista, presentò un indirizzo violentissimo dal quale ne tolgo un brano.