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Col nuovo anno e in mezzo a tante mene, a tanto agitarsi di contrari interessi, Roma riprendeva il consueto aspetto, e i Principi di Piemonte si studiavano di far dimenticare il brutto periodo precedente. Essi si mostravano molto per non far sentire tanto l’assenza del Re, il quale subito dopo i ricevimenti era partito per Napoli. Nel loro quartiere essi davano un ballo ogni mercoledì, non un gran ballo ufficiale di migliaia di persone, ma un ballo con invito ristretto, al quale era un onore e un piacere di assistere, perché i Principi conversavano con tutti e mentre il futuro Re s’intratteneva di cacce, di argomenti, militari, e di avvenimenti importanti, la futura Regina incominciava a vincere la naturale timidezza, e ad estrinsecare quelle doti dell’intelletto e del cuore, che l’hanno resa così cara ai romani.

Anche l’aristocrazia riceveva, il corpo diplomatico apriva le sue sale e i ministri davano pranzi. In quell’inverno il Visconti-Venosta aprì a diversi di questi pranzi diplomatici le sale della Consulta; lady Paget riceveva nel villino Reinach a Porta Pia, la principessa di Sant’Arpino, dama della Principessa di Piemonte, al primo piano del palazzo Bonaparte, i Gavotti, i Fiano, i Teano, gli Sforza-Cesarini, i Pallavicini avevano i loro ricevimenti settimanali, e per render più gaio il carnevale Augusto Silvestrelli fondò la società di «Pasquino», con scopo di beneficenza.

Lentamente, ma con un progresso continuo, le idee liberali si facevano strada a Roma. In quell’inverno le iscrizioni alle scuole municipali aumentarono molto; 1200 alunni passavano a queste dalle scuole clericali; numero scarso se si vuole, in confronto della popolazione, ma grande rispetto ai vantaggi materiali che offrivano ai frequentatori le scuole tenute da preti, frati e monache. L’Università invece andava tutt’altro che bene; scarso il numero degli iscritti, non coperte diverse cattedre e antagonismo spiccato fra alcuni professori. Il 10 gennaio vi era stata una dimostrazione di studenti, che reclamavano di avere insegnanti. La dimostrazione si era riunita nel cortile della Sapienza e non dando ascolto alle esortazioni del Rettore, professor Serafini, era andata al Ministero della Pubblica Istruzione, che aveva sede allora sopra alla Posta, in piazza Colonna. Lo Scialoja aveva ricevuto una deputazione di studenti e aveva promesso di nominare presto i professori, ma passò del tempo prima che l’Università fosse alla meglio ordinata. Se gli studenti furono calmi si deve soltanto al Serafini, il quale disse loro che abbandonandosi a dimostrazioni avrebbero fatto ridere i clericali.

Il 24 gennaio avvenne un fatto che dimostrò come il Governo intendeva uniformarsi al concetto di Cavour sulla libertà assoluta dell’esercizio di ogni culto. In via Nazionale all’angolo della via Napoli, fu posta la prima pietra del tempio americano. Era la prima chiesa protestante che sorgeva dentro le mura di Roma, perché in passato i seguaci di Lutero, di Calvino e di Pietro Valdo, dovevano contentarsi di andare a pregare nei templi fuori delle mura. Difatti la chiesa scozzese e quella inglese erano fuori di Porta Flaminia. Alla cerimonia assisteva il signor Marsh, ministro d’America, la principessa di Triggiano, pure americana. Un vescovo di quella nazione rilevò l’importanza del fatto che si compieva, e disse che il nuovo tempio si sarebbe intitolato da San Paolo.

Al riaprirsi delle sedute della Camera i liberali avevano sperato che la Giunta incaricata di riferire intorno al disegno di legge sulle Corporazioni religiose sarebbesi subito riunita. La riunione si fece con qualche indugio, e subito le difficoltà sorgevano e ne intralciavano il lavoro. Sarebbe stato più prudente che il progetto di legge, che ledeva tanti interessi e suscitava tante ire nei clericali e nella Curia, si fosse discusso a Firenze, e lo avesse promulgato la Luogotenenza. Discuterlo qui fu errore grave del quale il Governo si accorse per le difficoltà che incontrava nel Parlamento