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cere, potevano aver memoria labile, sarò certo incorsa in errori come se ne notano in ogni storia e in ogni cronaca antica e moderna, errori che dànno tanto da fare ai critici, i quali senza quegli errori da confutare dovrebbero procacciarsi altra occupazione.

Mancando dunque di libri sarebbe stato meglio, e lo riconosco io stessa, il pubblicare i diversi capitoli della “Roma Italiana„ prima in un giornale, e valendomi delle rettifiche dei lettori, come ha fatto Raffaele de Cesare nella sua bella opera: “La fine di un Regno„ correggere i capitoli prima di riunirli in volume. Ma una parte del lavoro doveva comparire per il 20 settembre, e il tempo mi sarebbe mancato per la pubblicazione nel giornale.

Se errori dunque vi sono, i lettori avranno la cortesia d’indicarmeli, affinchè una nuova edizione possa riuscire più esatta e più completa, ed essi nel rettificarli non faranno solo un piacere a me, ma a quelli che della modesta cronaca mia si varranno per lavori di maggiore importanza.

In un libro così voluminoso e che non ha potuto esser sottoposto ad una revisione simultanea, essendo comparso a fascicoli, che venivano stampati via via che erano scritti, anche gli errori tipografici meriterebbero una errata-corrige; ma io so bene quale sorte è riservata a quella correzioni messe in fondo al volume: nessuno vi getta un occhiata, nè benevola nè malevola, e gli strafalcioni rimangono tali e quali. Preferisco lasciare correggere dal lettore stesso. Uno solo voglio rilevarne, che si vede appunto a pagina 6, là dove dice... «e ora che il Bixio è morto, che il Cadorna lo ha seguito nella tomba...». Dalla dicitura parrebbe che io avessi messo l’illustre generale, al quale auguro lunga vita, fra il novero dei trapassati. In quel punto è saltata una intera riga, e prego il lettore di leggere così come fu scritto: «... nella tomba volontaria dove si è rinchiuso forse tormentato dal rimorso di aver eseguito gli ordini del sue Re...». Questo scrivevo in luglio e la lettera al sindaco di Roma, con la quale il general Cadorna rifiutava di assistere alle feste commemorative della liberazione della città, lettera che suscitò tante polemiche, confermava uno dei pochi giudizi che io abbia osato manifestare nel libro.

Un altro, frutto di una profonda convinzione, oso esprimerlo qui, e si è che senza l’opera benefica dei due Re che si sono succeduti al Quirinale, e di Margherita di Savoia, Roma avrebbe passato giorni molto più tristi di quelli che le ha riserbato la sorte, e vivi si manifesterebbero ancora gli attriti fra le due parti della cittadinanza; quella devota al Vaticano, e quella devota al Quirinale.

Vittorio Emanuele e Umberto hanno saputo conquistare la stima e il rispetto degli avversari, spiegando senza pompa quella virtù che sono un retaggio dei Sabaudi; la Regina, con il suo amore per tuttociò che è bello e buono, col suo animo mite ha destato nei cuori l’ammirazione e la riverenza, e unita al Re nell’affetto per i miseri, nella brama di sollevare le sventure, ha dimostrato quanta influenza abbia una Sovrana, senza ingerirsi di politica, senza ambizioni di dominio, sui destini di un popolo.

Roma, 25 marzo 1896.

Emma Perodi.