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pentite, qualche artista e qualche letterato che ha bisogno di quiete.

Una sera di carnevale del 187..., con una nebbia che non lasciava scorgere la punta del naso, due uomini coi baveri dei paletò alzati sulle orecchie e i cappelli calcati sulla fronte passeggiavano innanzi e indietro per quella via, come gente che sta aspettando qualcuno.

Il più alto si volgeva spesso a guardare indietro e si mostrava impaziente. L’altro fischiava a sordino.

Che essi aspettassero una carrozza, si capiva da questo; che ogni volta che si udiva da lontano un rumor di ruote, il quale dicesse di avvicinarsi, s’arrestavano e tendevano l’orecchio.

Di quei rumori se n’erano fatti udire parecchi, ma erano svaniti via, per le contrade lontane; la strada tornava nel suo silenzio profondo. Non profondo del tutto, però; di carnevale, le notti di una città sono poco o molto animate da un certo vago e indistinto brulicar di susurri, che ronzano per l’aria cheta, e che si potrebbero chiamare appunto i bisbigli notturni del carnevale. Sono fiochi suoni di pianoforti, che partono da qualche casa dove si fan ballare le fanciulle; sono schiamazzi di ubbriachi che escono dalle bettole dei con-