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Introduzione lxi


Il 15 giugno 1889, un accidente che anche noi saremmo tentati di dir, con lo Zaharia, fortunato, fece sì che Eminescu finisse finalmente di soffrire.

Un altro pazzo, un tal Petrea Poenariu, gli fracassò il cranio con una pietra.


Così moriva Eminescu, il più grande poeta rumeno, in un’epoca, in cui, malgrado il generale compianto che la sua morte suscitò, la sua fama era ben lungi dall’esser, non che europea, neppur nazionale, e il suo valore era ancor contestato dagli scettici e dagli invidiosi. Solo più tardi la giovane generazione, che, all’epoca della morte del poeta, era ancora sui banchi della scuola elementare, si riconobbe in lui co’ suoi dolorosi dissidii, colle sue generose aspirazioni nazionali, e l’apoteosi cominciò. Allora come allora, pochi, e sia pur scelti, lo accompagnarono al cimitero, dove oggi riposa all’ombra di un tiglio, sotto una stele marmorea nobile e discreta come fu tutta la sua vita, e sulla stele sono scolpiti i versi:

Lieve passi nel vento
  l’Onniscïente,1
e il sacro tiglio versi
  fiori su me.

Poi che non sarò più ramingo
  da quel giorno in poi,
e pietosi mi seppelliranno
  i miei ricordi.

Anche oggi che tutti gli riconoscono, insieme coll’innegabile sua genialità, il merito di una musicalità non più raggiunta in seguito da nessun altro poeta rumeno e quello di aver, per così dire, creata dal nulla, o quasi, la lingua poetica rumena; si direbbe che i critici abbiano paura di abbordarne l’opera. Nè il Maio-



  1. La Morte.