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lx Introduzione


guardare finchè non prendeva il volo, mentre dall’alto dei rami i fiori bianchi del ciliegio, i fiori che egli aveva tanto amati, cadevan mollemente su di lui, quasi lagrime della Primavera.

Tornato a Bucarest nel maggio del 1889, Eminescu impazzì per la terza volta e fu internato nella casa di salute del dott. Sutzu. Commoventissime son le parole con cui il poeta Vlahutza descrive la sua ultima visita ad Eminescu in quel luogo di dolore:

«Lo trovai che declamava dei versi assolutamente privi d’ogni senso1, e, quando, stanco di quell’onda sonora e vana, lasciava cadere a terra lo sguardo e taceva, il suo volto rivestiva quell’aspetto di tristezza vaga, ombra di quel doloroso tramonto della sua coscienza, che gli dava in quel momento l’apparenza di un dio debellato, privato della sua forza e umiliato. Io lo guardavo; mi si spezzava il cuore e non sapevo che dirgli. Dopo qualche minuto di silenzio, giunse le mani, e, alzando gli occhi al cielo, sospirò profondamente e ripetè più volte con un accento straziante: “Oh, Dio! Dio!” C’era in quel sospiro e in quelle parole la sintesi di tutta la sua vita, e forse, in quel momento, un ultimo barlume di coscienza illuminò tutta la sua lunga catena di sofferenze, dall’infanzia fino a quel dolorosissimo istante. Mi vennero le lagrime agli occhi e m’allontanai perchè non se n’accorgesse»2.



  1. Non tutti. Fra quelli che il Vlahutza ritenne a memoria ce ne son quattro bellissimi:

    Tanto fuoco, tanto oro,
    tante cose sante,
    sull’oscurità della vita,
    Padre, hai sparso!

  2. Vlahutza, Curentul Eminescu și o poezie nouă. București, Tip. Luptă, 1892, pp. 4-5.