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lviii Introduzione


macchina e la ruota cominciava a girare vertiginosamente, si ricordava d’essere stanco morto e di non aver mangiato dalla sera prima»1.

Del resto il poeta stesso in una lettera a Veronica Micle descrive con accenti strazianti la vita di facchinaggio intellettuale che menava in questo torno di tempo.

«Tu devi figurarti» — le scrive — «che io presento l’aspetto di un uomo mortalmente stanco, visto e considerato che son solo a codesto maledetto mestiere di negoziante di principii, ed oltre a ciò malato al punto che avrei bisogno di sei mesi almeno di riposo assoluto per rimettermi un poco in forze. Invece sono ormai sei anni che lavoro come un cane, e, quel che è peggio, senza alcun utile nè materiale nè morale; da sei anni mi dibatto in un circolo vizioso, dal quale non mi riesce di liberarmi; da sei anni non ho più un minuto di pace, nè di riposo, nè di serenità che io possa dedicare a qualcosa di meglio che la politica. Sento che non è possibile andar più avanti così. Avrei bisogno di un lungo riposo, e, tuttavia, come gli operai delle fabbriche, questo riposo non posso concedermelo. Sono come schiacciato sotto il peso sempre più grave del mio lavoro; non ritrovo più me stesso e non mi riconosco più. Aspetto i telegrammi Havas per rimettermi a scrivere, a scrivere ancora, a scrivere per mestiere. Oh mi scrivano una buona volta il nome sulla tomba, e che sia finita per sempre»2.

Il 28 giugno del 1883 Eminescu impazziva.

Alle cinque di mattina di quel giorno il Maiorescu riceveva dalla signora Catinca Slávici, presso cui Eminescu abitava, il seguente biglietto:



  1. A. Vlahutza, Din goana vieții, vol. III, pp. 79-80.
  2. Da un frammento di lettera a Veronica Micle, citato da Edoardo Gruber nel suo discorso per lo scoprimento del monumento innalzato ad Eminescu a Botoșiani.