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Introduzione xlvii


dormivano durante le escursioni che facevano nei dintorni di Iassy. Noi altri ci recavamo di solito, dopo le riunioni della Junimea, in qualcuno dei più eleganti caffè della città ed Eminescu talvolta ci accompagnava, ma senza troppo entusiasmo. Appena ebbe fatta la conoscenza di Creanga, non venne più con noi e non fu più visto che in compagnia di lui.

Che facevano? dove andavano? che si dicevano giorni e notti intere?

Che facevano e dove andavano, lo sappiamo. Uscivano insieme di casa e sparivano in una delle tante osterie di campagna: di Tatarasci, Păcurari o Nicolina o di qualche altro sobborgo della città. In queste osterie non si mettevano a bere — come i maligni pretendevan di sapere e come anche oggi qualcuno continua ad affermare, aggiungendo che questo tenore di vita abbia rovinato la salute così di Eminescu che di Creanga —; ma vivevano semplicemente quella vita naturale e primitiva che aveva per loro una particolare attrattiva. Per i due amici il più gran piacere era di sedersi su dei trespoli di rozzo legno in fondo a una stanza appartata dell’osteria, davanti a una rustica tavola d’abete imbandita di povere vivande e di farsi servire da un contadinello ingenuo.

Che facevano? Per tutto pranzo e colazione si facevano arrostire un po’ di carne di capra salata e conservata (păstrama), si facevano portare un boccale di vino del primo che trovavano, mangiavano nei giorni di ribotta un piatto di salsicce cucinate — e Dio sa come! — coll’aglio, e, dopo aver mangiato la carne di capra e le salsicce, restavano a parlare a lungo davanti a un bicchiere di vino. Restavano così a lungo che, quando l’oste ne dava loro il permesso, non si separavano che all’alba. Quando l’oste voleva chiudere ad ogni patto, se n’andavano in qualche altra osteria che sapevano rimaneva aperta tutta la notte e parlavano, parlavano, e bevevano anche, ma con misura.