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xliv | Introduzione |
A un certo punto, in cui uno dei protagonisti si trasforma in un diavolo circondato da una folla di diavoletti, le proteste presero un carattere apertamente ostile.
— Qui non è più il caso — si diceva — di parlar di fantasia, ma di pura e semplice puerilità. Siamo ai diavoli delle novelline popolari, alle case dove ci si sente e ad altre balordaggini di simil genere! —
Ma Eminescu, che sembrava non accorgersi punto di quanto avveniva intorno a lui, continuava con una calma che aveva dell’esasperante:
“....il monaco Dan uscì dalla casa e si mise per una stradetta deserta....”.
Qui altre proteste. Eminescu, infischiandosi della storia, descriveva una città rumena dei tempi di Alessandro il Buono come se fosse una qualunque città....turca!
— Piano! Piano! che le cose stanno alquanto diversamente! Lei ci descrive una città turca, o, al più, rumena ma del secolo scorso! Ora, ai tempi di Alessandro il Buono, i Rumeni non erano ancora venuti a contatto coi Turchi!
— Eminescu fece spallucce e continuò a leggere. Che importava a lui, pur così profondo conoscitore della storia rumena, della verità storica in un’opera di pura immaginazione? Ne’ suoi scritti non troverete mai neppur l’ombra di una simile preoccupazione. Egli credeva in buona fede che, nonchè i Rumeni, l’umanità intera fosse vissuta nel medioevo come a lui faceva comodo d’immaginare.
Ed Eminescu continuava, continuava a leggere in mezzo alla noia universale.
Finalmente, come tutte le cose di questo mondo finiscono, anche quella lettura finì.
Era durata quasi due ore e bisognò prendere il thè, che la mezzanotte era passata.
Non ricordo bene la critica che il Maiorescu fece