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Introduzione | xli |
«— Coraggio, Eminescu! — disse Iacob Negruzzi — fatti avanti e comincia. —
Eminescu avvicinò la sedia al tavolino, tirò fuori della tasca il manoscritto, e cominciò a leggere:
— .... e similmente, se chiudo un occhio, vedo la mia mano più piccola di quando la guardo con tutti e due. Se avessi tre occhi, la vedrei anche più grande, e, quanti più occhi avessi, di tanto più grandi mi sembrerebbero le cose che mi circondano. Tuttavia, facendo il caso che io fossi nato con migliaia d’occhi in un mondo pieno di cose colossali, queste, mantenendo in rapporto con me le loro proporzioni, non mi sembrerebbero nè più piccole nè più grandi di quanto mi sembrano ora. Ammettiamo che il mondo....—
E via di seguito, sempre su questo tono. Noi ci guardavamo l’un l’altro, e gli otto1 eran divenuti trenta, nessuno potendo indovinare di che diavolo si trattasse e dove Eminescu sarebbe andato a parare. Solo molto più tardi eccolo che incomincia a darci qualche spiegazione di tutta quella sua metafisica, facendoci saper finalmente che il suo eroe era un giovinetto imbevuto di teorie metafisico-astrologiche, che abitava una casa abbandonata e possedeva per tutto ricordo de’ suoi genitori un ritratto d’una figura mezza virile e mezza muliebre, ma insomma più virile che muliebre, visto ch’era il ritratto di suo padre, morto giovane ancora.
Respirammo tutti. — Eccoci finalmente — ci dicevamo — tornati sulla terra; d’ora innanzi la novella sarà novella e non avremo che da seguirne l’intreccio, giacchè l’eroe ormai lo conosciamo. —
- ↑ Un gruppetto di frondeurs capitanato da Nicu Gane, lo squisito novelliere rumeno e traduttore dell’Inferno dantesco, che non potevano mandar giù la nuova tendenza filosofica e meno ancora la pretesa del Maiorescu di trovare un profondo senso filosofico anche a quegli scritti che non ne avevano uno al mondo, come per esempio le poesie del Bodnarescu.
D — Eminescu, Poesie. |