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Introduzione XXIX


la compagnia nella Transilvania e nel Banato. Nessuno», continua a raccontar lo Stefanelli1, «dette allora troppa importanza a queste chiacchiere, e, dopo la partenza della compagnia Pascali, si cessò anche di parlare di Eufrosina e di Eminescu. Ma, nell’autunno del 1870, trovandomi a Vienna con Eminescu, che da poco era venuto a studiarvi filosofia, alla trattoria Bischoff nella Wipplingsstrasse dove ci eravamo trattenuti a discorrere fino ad ora tarda, e disponendoci a tornare a casa — abitavamo allora tutti nella Dianagasse — facemmo la triste constatazione che nessuno di noi possedeva i dieci centesimi da dare al portinaio perchè ci aprisse la porta di casa. Eminescu era quella sera molto ben disposto, mi s’era attaccato al braccio e cantava, declamava, raccontava una quantità di storielle allegre, l’una più gustosa dell’altra. A un tratto però divenne sentimentale e lo udii esclamare: — O Eufrosina, Eufrosina! — Conoscendo bene il debole di Eminescu per le figure mitologiche, credetti che volesse dire d’una delle tre Grazie, e gli domandai per qual mai strana associazione d’idee fosse arrivato dai canti e dalla declamazione a una figura mitologica.

— Guarda che per me non è stata punto una figura mitologica, ma bene un essere reale, la mia Eufrosina! Eufrosina Popescu! —

Solo allora mi ricordai di questo nome da tanto tempo dimenticato e gli domandai se questa Eufrosina Popescu non fosse per caso un’artista della compagnia Pascali a Cernăuți.

— Come? l’hai conosciuta?

— Mi ricordo benissimo di lei. Era assai carina.

— Sì — rispose lui sospirando — era assai carino quel diavoletto incarnato! Sono stato innamorato di



  1. Op. cit., pp. 45-47.