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xii Introduzione


e si avvicina al modo di sentire dei poeti slavi, p. es. di Pushkin. Ma su ciò non è ora il caso d’insistere. Noto questa mia impressione e passo innanzi.

Anche la mamma di Eminescu aveva nelle vene sangue slavo: russo questa volta. «La mamma», c’informa sempre il medesimo capitano Matei Eminescu, era la quarta figliuola dello stolnic1 Vasile Iurașca, del villaggio Soldești, e di Paraschiva Iurașca, nata Dontzu. Questo Dontzu era un russo e forse un cosacco. Il suo vero nome era Alexa Potlof, fuggito non ricordo più per qual motivo politico dalla Russia, e stabilitosi sulle rive del Sireth non lontano dal villaggio Serafinești, dove, camuffato in abiti di contadino, si occupava di apicultura. Era venuto dalla Russia con molto danaro e parlava correntemente il tedesco, il francese e il polacco, ma non faceva saper nulla de’ fatti suoi e viveva ritiratissimo. Prese con sè come governante una ragazza di Serafinești, figlia di contadini, dalla quale, vivendo con lei in concubinaggio, generò mia nonna. Qualche tempo dopo, Vasile Iurașca affittò dei terreni da quelle parti, conobbe la figliuola di Dontzu, se ne innamorò e la prese in moglie.

Non siamo portati a dar molta importanza alla razza in questioni d’arte e di letteratura. Il sangue però si sa che non è acqua, e, d’altra parte, ciò che può influire sull’artista ben altrimenti che la discendenza è la cultura, e, più ancora, l’ambiente, specie familiare, in cui la sua personalità si viene formando. Orbene non è azzardato supporre che leggende e canti ruteni, russi e polacchi Eminescu dovesse udire dalla bocca de’ suoi genitori2, e ciò potrebbe valere a spiegare quell’ele-



  1. Boiaro addetto alla mensa del Voda, dal quale dipendevano le cucine, gli orti e le piscine della Corte; qualcosa insomma di simile allo scalco delle antiche corti medievali, e al gentiluomo di bocca di quelle moderne.
  2. Sappiamo infatti che suo padre «possedeva una così grande