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elogio 77

tutto il resto un’ottima persona: compiacente e fedele verso gli amici; dolce, cortese, condiscendente colla moglie, indulgente cogli schiavi, e non dava nelle furie se vedeva rotta qualche bottiglia. I suoi parenti si presero l’incomodo di guarirlo a forza d’elleboro; ma egli ritornato appena in quello stato, che impropriamente chiamasi di buon senno, fece loro questa bella e sensata apostrofe: «O miei cari amici che mai avete fatto? Voi pretendete d'avermi guarito, ed in vece m’avete ammazzato: per me sono finiti i piaceri; voi m’avete tolta un’illusione, che formava tutta la mia felicità.» Avea pur troppo ragione questo convalescente, e coloro, che per mezzo dell’arte medica credettero di guarirlo come d’un male da una sì felice e gioconda follia, mostrarono d’aver bisogno più di lui d’una buona dose d’elleboro.

Non ho per anco fermato se debbasi indistintamente chiamare col nome di pazzia ogni errore di spirito e di senso. Imperocché noi comunemente non diciamo esser pazzo colui che, corto essendo di vista, prende un asino per un mulo; oppure, perchè avendo poco discernimento, ammira come eccellente una cattiva poesia. All’incontro, se un uomo prende uno strano errore, non solo di senso, ma ben anche di mente, e in questo lungamente persiste; per esempio, se ascoltando il raglio d’un asino crede di sentire una superba sinfonia, od essendo povero e di oscuri natali, s’immagina d’essere un Creso re di Lidia, allora si dice, che il poveretto ha dato di volta al cervello. Ma questa specie di pazzia, qualora sia rivolta ad un oggetto di piacere, come suol quasi sempre accadere, allora non poco diletto arreca tanto a quelli che l'hanno, quanto a coloro che ne sono spettatori. Questa specie poi di pazzia è