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Pertanto ritorno sempre al mio assunto, e dico, che coloro i quali s’applicano allo studio della sapienza, sono lontanissimi dalla felicità; sono doppiamente pazzi, perchè, obbliando la loro condizione naturale, e volendo vivere come altrettanti Dei, a guisa di giganti fanno guerra alla natura colle macchine dell’arte. Da tutto ciò io inferisco, che i veri felici sono quelli che s’accostano maggiormente all’indole ed alta stolidezza de’ bruti, e che nulla intraprendono al di sopra delle forze umane.

Su via proviamoci a difendere quest’argomento, non già cogli entimemi degli stoici, ma con qualche esempio palmare. Dei immortali, siatene giudici voi! Chi trovasi mai al mondo che viva più felicemente di coloro, che volgarmente chiamatisi sciocchi, stolti, insensati e bietoloni? Ah i bei nomi per me! Voglio dirvi una cosa, che voi forse a prima vista prenderete per una stravaganza ed una assurdità; ma che importa? Io non voglio però tacervela, tanto più che ella è superiore ad ogni altra verità.

Ditemi un poco, non è vero che quegli uomini, i quali credonsi privi di sentimento, non hanno alcun timore della morte? E questo timore, per Bacco, non è un male indifferente! Di più sono esenti dai fieri rimorsi della coscienza; non paventano nè larve, nè ombre; non sono tormentati dalla perpetua prospettiva de’ mali; non sono lusingati dalla vana speranza di futuri beni: in somma i loro giorni non sono avvelenati da quella infinita serie di cure, a cui è soggetta questa vita. La vergogna, il timore, l’ambizione, l’invidia, l’amore, l’amicizia sono tutte cose a loro straniere; e godono l’incomparabil vantaggio di non esser diversi dalle bestie se non per la figura. Ma questo non basta; secondo l’opinione de’ teologi sono perfino impeccabili. Supposto questo, rientrate una