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onesta (termine per me insignificante), che i filosofi medesimi non dubitano di annoverarla tra i beni principali della vita. Ma che dirassi, se mostrerò esser io ancora l’unica sorgente e creatrice di un tanto bene? M’accingo pertanto a provarvelo, non già con sofismi, nè con argomenti capziosi, all’uso dei retori, ma giù alla buona, e con tutta la chiarezza.

Animo! vediamolo. Dissimulare, ingannarsi, fingere, chiuder gli occhi ai difetti dei suoi amici, amare perfino, ed ammirare i grandi vizj, come grandi virtù, non è questo un avvicinarsi alla Pazzia? Colui che bacia con trasporto un neo della sua amica, o che sente con piacere il puzzo del suo naso, quel padre, che avendo un figlio guercio, pretende che abbia due occhi da Venere, non dà veramente in una pretta pazzia? Esclamino pure a lor posta esser questa una grande pazzia, ed io aggiungerò che questa pazzia è quella sola che forma e conserva l’amicizia. Parlo qui unicamente degli uomini, de’ quali neppur uno nasce senza difetti; giacchè per noi l’uomo migliore è quello, che ha minori vizj. Imperocchè que’ savj che pretendono di indiarsi colla loro filosofia, o non contraggono alcuna amicizia, o riesce loro un nodo aspro e dispiacevole. Inoltre non sogliono amar di cuore se non pochissime persone, anzi non avrei scrupolo alcuno d’asserire, che assolutamente non amano alcuno; ed eccone la ragione. Quasi tutti gli uomini sono pazzi, anzi, direi, non v’ha niuno che non faccia le sue pazzie, e per questo riguardo dunque tutti si rassomigliano; ora la rassomiglianza è appunto il principale fondamento di ogni stretta amicizia.

Se talvolta fra questi austeri filosofi nasce una