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quelle cure fastidiose che tormentano il savio. Il mio rimbambito intanto non è disaggradevole nella compagnia, nè sente quella noia della vita che sopporta a stento l’età più robusta. Ripiglia pure talvolta le tre lettere di quello stolto vecchio, di cui Plauto fa menzione, A. M. O. Ora s’egli fosse un tantino savio, non è vero che sarebbe il più infelice dei viventi? Ma, per effetto della mia bontà, scevro da ogni fastidio ed inquietudine, ricrea i suoi amici, ed è ameno nella conversazione. E non vediamo noi in Omero il vecchio Nestore parlare più dolce del mele, mentre il feroce Achille prorompe in eccessi di furore? Lo stesso Poeta non ci dipinge anzi alcuni vecchi seduti sulle mura, che tengono lepidi discorsi? Di più, secondo questo raziocinio, dico che la felicità della vecchiaia supera quella della fanciullezza. Non può negarsi che l’infanzia sia molto felice; ma in questa età non si ha il piacere di cicalare, di brontolare dietro tutti, come fanno i vecchi, piacere che forma il condimento principale della vita. Un’altra prova del mio confronto è quella reciproca inclinazione che si vede tra i vecchi ed i fanciulli, e quell’istinto che li porta a conversar volentieri tra loro; cosicché si verifica, che ogni simile ama il suo simile.

Di fatto queste due età hanno grandi attinenze tra loro, e non vi discerno altro divario che le rughe della vecchiaia e i tanti carnevali che i primi han sulla gobba. Del resto la bianchezza dei capelli, la mancanza dei denti, l’abbandono del corpo, l’appetito del latte, la balbuzie, la garrulità, la balordaggine, la smemoratezza, la mancanza di riflessione, in una parola tutto va d’accordo in queste due età. Infine quanto più l’uomo s’inoltra nella vecchiaia, tanto maggiormente s’avvicina all’infanzia,