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merosissima udienza. Voi difatto ergeste subito ilare la fronte, e con sì lieto ed amabile sorriso m’applaudiste, che invero quanti d’ogni intorno io qui mi vedo sembranmi altrettanti Dei di Omero inebriati di nettare misto a Nepente 1, e mentre prima sedevate tristi ed inquieti, come coloro che sono appena usciti dalla caverna di Trofonio 2. E per verità, in quella guisa che al primo comparire in cielo della splendida ed aurea faccia del sole, oppure dopo un rigido verno al ritornare della primavera accompagnata dai dolci zefiretti, noi tosto veggiamo tutte le cose prendere un nuovo aspetto, ammantarsi di nuovi colori, e tutta in certa qual maniera ringiovanirsi la natura, così appunto voi vedutami appena immantinente cangiaste affatto sembiante. Ottenni pertanto colla mia sola presenza ciò che valenti oratori avrebbero appena potuto conseguire con un lungo e lungamente meditato discorso, voglio dire di scacciare la tristezza dall’animo vostro.

Ora poi se bramate di sapere per qual motivo piacquemi di comparirvi innanzi in un arnese così stravagante, io tosto ve lo dirò, purchè mi siate cortesi della vostra attenzione, non però di quell’attenzione che siete soliti prestare ai sacri oratori, ma bensì di quella che porgete ai cerretani, ai ciurmadori, ed ai buffoni sulle piazze: in una parola

  1. Nepente, erba, il cui sugo misto col vino, eccita all’allegria.
  2. Trofonio, figlio di Apolline, secondo la favola era un celebre architetto greco. Egli fabbricò a Lebadia in Beozia un tempio in onore d’Apollo, ov’era una caverna, in cui credevasi che un Demone pronunciasse oracoli; e siccome coloro che entravano per consultarlo ne uscivano emaciati e squallidi così passò in proverbio, per esprimere una persone oppressa dalla tristezza, il dire che sembrava uscita dell’antro o della caverna di Trofonio.