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tessero seriamente al bel nome di papa1, cioè di padre ed all'epiteto di santissimo, con cui vengono onorati; chi sarebbe mai più infelice di loro? Chi vorrebbe mai comperare con tutto il suo avere questa carica eminente, o chi mai, essendovi stato innalzato, vorrebbe per sostenervisi impiegare la spada, i veleni, ed ogni sorta di violenze? Ahi quanti beni perderebbero se la saviezza s’impadronisse per un istante dell’animo loro? Che dico la saviezza? Se avessero un granellino soltanto di quel sale, di cui parla il Salvatore. Perderebbero allora quelle immense ricchezze, quegli onori divini, quel vasto dominio, quel pingue patrimonio, quelle vittorie fastose; tutte quelle cariche, quelle dignità e quegli uffizj che compartono; tutte quelle tasse che percepiscono tanto ne’ propri, come negli stati altrui, il frutto di tutte quelle dispense e di quelle indulgenze, che si van trafficando con tanto vantaggio, quella corte numerosa di cavalli, di muli, di servi: quelle delizie, e que’ piaceri che godono continuamente. Osservate, osservate quante cose verrebbero a perdere; eppure questo non è che un’ombra della pontificia felicità. A tutti questi beni succederebbero tosto le veglie, i digiuni, le lagrime, le preghiere, i sermoni, le meditazioni, i sospiri e mille altri travagli di simil natura. Aggiungiamo inoltre che tanti scrittori, tanti copisti, tanti notai, tanti avvocati, tanti promotori, tanti segretarj, tanti banchieri, tanti scudieri, tanti palafrenieri, tanti ruffiani (silenzio su questo punto, bisogna rispettare le caste orecchie) tutta finalmente quella prodigiosa turba di persone d’ogni classe, che rovinano (voleva dire che onorano) la sede di Roma; sì, diciamo pure, che tutta questa turba po-

  1. Una volta tutt’i vescovi si chiamavano papi, cioè padri.