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146 | elogio |
romani si sono eglino mai serviti nelle loro orazioni di una introduzione così disparata? Questi uomini grandi giudicavano vizioso un esordio, che non avesse alcuna attinenza col soggetto; e la natura ha insegnato così bene agli uomini questo metodo, che persino un porcaio, se ha da fare qualche racconto, non incomincia certo con una cosa estranea, ma entra immediatamente a parlare del suo soggetto. I nostri dottissimi frati all'incontro crederebbero di passare per cattivi rettorici, qualora il preambolo, com’essi dicono, avesse la più piccola connessione col resto dell’argomento, e qualora non mettessero gli uditori nella necessità di dire: dove va egli per questa strada?
In terzo luogo propongono in forma di narrazione qualche passo del Vangelo, ma leggermente ed alla sfuggita; e benchè questo esser dovesse il principale loro dovere, pure lo trattano di passaggio, e quasi per incidente. In quarto luogo, come se rappresentassero un nuovo personaggio, muovono una questione teologica, la quale quantunque discovenga moltissimo al loro soggetto, pure la credono così necessaria, che loro sembrerebbe d’aver peccato contro l’arte, se non vi avessero intrusa quella digressione. Egli è in questi passi che i nostri predicatori inarcano superbamente il teologico ciglio, e intronano le orecchie degli uditori coi magnifici epiteti che danno ai loro dottori, di solenni, di sottili, di sottilissimi, di serafici, di santi, d’irrefragabili, ecc. ecc. Egli è pure in questi passi, che a guisa di grandine scaricano un nembo di sillogismi, di
sbalordito, che uscì nei suoni del decurio dei demonj danteschi; le streghe spaventate da questo fragore troncarono i loro incantesimi, e si diedero precipitosamente a fuggire.