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nello spacciare frottole e favole ridicole per allettare l’orecchio degli stolti. Eppure appoggiati a queste ridicolezze, si confidano di ottenere una divina immortalità, e la promettono ancora agli altri. L’amor proprio e l’adulazione sono i loro indivisibili consiglieri; ed io non ho adoratori più fidi, nè più costanti di loro.

Gli oratori appartengono egualmente alla mia setta; ma devo confessarvi che non sono i miei sudditi più fedeli, perchè se la intendono qualche poco coi filosofi. Ciò non ostante, oltre che sono anche essi pieni di amor proprio e di vanità, non mancano d’essere fecondi in frivolezze, e i più celebri hanno scritto con serietà lunghi trattati sulla maniera di scherzare. L’autore, chiunque egli sia, che dedicò ad Erennio l’arte del dire, annovera la pazzia fra le varie specie di facezie. Quintiliano medesimo, principe de’ retori, ha composto intorno al riso un capitolo più voluminoso dell’Iliade di Omero. Secondo questi scrittori la follia ha una forza maggiore della ragione, perchè tante volte quello che non si può conseguire con nessun argomento, si ottiene con una lepidezza. Finalmente non vorrei essere la Pazzia, se l’arte di muovere il riso con piacevoli sali non fosse tutta opera mia particolare.

Eccovi un’altra specie di persone a presso a poco della medesima pasta, voglio dire di coloro, che ambiscono una fami immortale col pubblicare dei libri. Tutti in generale sono di mia appartenenza questi scrittori; ma quegli in ispecie che pubblicano solo insipidezze. Rispetto poi a quegli autori che scrivono per pochi, cioè per le persone di fino gusto e di buon naso, che non ricusano il giudizio di Persio e di Lelio, vi confesso ingenuamente che