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chezze: l’omerico Giove a pochissimi pone sul capo la corona; Marte rifiuta spesso ai due eserciti il suo soccorso; Apolline rende talvolta spiacevoli risponsi a quelli, che consultano il suo oracolo; il figliuol di Saturno lancia frequentemente le sue saette; Febo manda talora la peste, e Nettuno fa perire più persone, che non ne salvi. Rispetto poi a quelle orribili Divinità dette Vejovi, come sarebbero Plutone, la Discordia, la Pena, la Febbre, ed altre simili che potrebbero chiamarsi piuttosto carnefici che Divinità, non vale assolutamente la spesa che io mi brighi di farne parola. Egli è dunque vero che gli altri Dei non sono buoni e benefici verso tutti i mortali, e che la sola Dea Pazzia è quell’unica che abbraccia co’suoi favori tutto il genere umano. Il più mirabile poi si è, che la mia generosità non è macchiata d’alcun interesse; io sola non esigo nè voti, nè offerte; e la mia Deità non s’offende, nè ordina vittime di espiazione qualora sia stata ommessa qualche cerimonia del mio culto. Io non metto sottosopra il cielo e la terra per vendicarmi di qualcuno, che avendo invitati tutti gli altri Dei, mi abbia sola dimenticata a casa, e non m’abbia messo a parte dell’odore e del fumo delle sacrificate vittime. Bisogna proprio che a confusione e vergogna degli Dei io dica che si mostrano tanto incontentabili e capricciosi, che sarebbe assolutamente minor male lasciargli in abbandono che adorarli. Dovrebbesi far con loro quello che si suole colle persone intrattabili e corrive al far male; cioè troncare con essi ogni corrispondenza, dal momento che costa troppo cara la loro amicizia.
Eppure chi mai crederebbe che questa mia condotta mi dovesse attirar le beffe? Finora, dicesi comunemente, nessuno ha pensato a rendere alla Pazzia