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ATTO IV. SCENA IV. 123

Che, fin ch’io vivo, tollerar m’è forza
Queste pene, e nel cor portar sepolte
Tue colpe contro il Padre. E chi gittommi
Se non tu, parricida, in tanti affanni?
Esule per te son, per te vagante
In altrui terra vo di giorno in giorno
Accattando la vita. Chè, se queste
Mie nutrici figliuole io non avessi
Generato, per te, da lungo tempo
Morto sarei. Oneste ànno di me cura.
Queste mi danno nutrimento, e meco
Travagliansi, non già come fanciulle,
Ma virilmente. E, tu, con Eteòcle,
Sangue d’Edipo no non siete. — Or m’odi:
Vindice un Dio ti guata e ti sta sopra.
Assalteranno i congiurati campi
Tebe; ma nullo avrà vittoria; e tu
Cadrai bruttato del tuo proprio sangue;
E cadrà dopo te l'empio fratello. —
Contro voi già invocai le furie orrende,