Che mai farò? Degg’io prima i miei mali
Piangere, o quelli di cotesto mio
Cadente genitor, ch’io quì ritrovo
Con voi gittato in peregrina terra;
E in tali avvolto sozze vestimenta,
Che infettano le membra: oime! sul capo
Degli occhi orbato l’arruffata chioma
Sparge il vento; e conforme alle sue spoglie
Del suo misero corpo è forse il vitto.
O me tristo! ma tardi or lo comprendo,
O me il più tristo de’ mortali! Io giuro,
Padre, ch’io vengo a custodir tua vita,
A far sì che mestier più non ti sia
Di stranio cibo. — Ma, se è ver che assisa
Presso il trono di Giove è la virtute
Moderatrice degli affetti, e lui
In ogni opra governa, ella te pure
Rattempri, o padre, perocchè si puote
Emendar ma non torre error commesso. —
Or perchè taci? Parla, o padre, e altrove