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del Montanari, giusta l’ediz. princeps, incominciata a pubblicare, oltre settant’anni dopo la morte dell’autore, assai bene da Filippo Argelati, e proseguita, come peggio non si sarebbe potuto, da Carlo Casanova, nel sesto volume del De monetis Italiae (Mediolani, mdcclix); — correggendo, per i due ultimi, i continui e grossolani errori tipografici, e procurando di rendere di tutti tre, mercé un’accurata e razionale punteggiatura, piú agevole l’intelligenza.

Non adunque la loro raritá, si bene il bisogno di riprodurle in guisa da soddisfare alle odierne esigenze della critica, e, ancora piú, la loro importanza nella storia dell’economia mi ha determinato a scegliere le tre anzidette fra le numerose opere economiche italiane del Cinque e Seicento.

\J Alítbioíifo di Gaspare Scaruffi contiene notizie ed osservazioni d’ordine tecnico, familiari all’autore, prima commerciante, poi assaggiatore ed appaltatore della zecca di Reggio; e queste nozioni tecniche egli sagacemente applica al chiarimento di questioni economiche, le quali esamina in taluni principali rispetti con ampia analisi. Propugna l’attuazione d’un sistema monetario sincero, si che il peso ed il titolo della moneta perfettamente corrispondano al suo contenuto metallico, e primo o fra i primi richiede che sia indicato il titolo ed il peso della moneta sulla moneta stessa. In ogni pezzo si dovrebbero segnare tre numeri : il primo destinato a mostrare quante parti decimali dell’oncia contenga la moneta di metallo fino; il secondo il titolo, in conformitá all’uso valutato a ventiquattresimi per l’oro e dodicesimi per l’argento; il terzo inteso a dichiarare quanti di quei pezzi si taglino da una libbra. Il Ferrara avverte che, se nessuno prima dello Scaruffi aveva proposto che si indicasse anche il titolo, pure fra le monete del 1500 ve ne hanno alcune, nelle quali, oltre al nome, si legge assai chiaramente l’ indicazione della lega. Lo Scaruffi ritiene che il bimetallismo a rapporto fisso, uguale in tutti i paesi, risponda meglio d’ogni altro sistema alle esigenze della circolazione, e questo rapporto fisso designa in i unitá di peso d’oro per 12 unitá di peso d’argento. Egli pensa che tale rapporto, giá «suggerito dal divino Platone», sempre prevalga di fatto, e dice che potrebbe conservarsi immutabile, ove non si commettessero adulterazioni o falsificazioni monetarie.

L’ultima proposizione rappresenta una aberrazione, non inconsueta però nel secolo xvi, in cui l’influenza delle adulterazioni