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ricevere la valuta del rame, mentre uno era divenuto misura dell’altro; e però furono prima battuti li denari, che cosi furono detti, che valevano dieci assi o libbre di rame, indi i quinari, che cinque libbre, ed i sesterzi, che due libbre ed un s. (che «sefnis» o «mezza» significava in questo «L. L. S.»); e vi fu anche la libbra d’argento, che, per esser la decima parte d’un denaro e perciò assai picciola, «libclla» si chiamò, e valeva una libbra od asse di rame. Quindi s’introdusse l’uso di parlare a sesterzi, come oggi si parla a lire, a reali, a fiorini, ecc.

Qual anno fosse prima battuto l’argento, Plinio dice il 585, Livio il 4S4; ed io non voglio rivedere questo conto, sebbene mi accosterei piú facilmente forse a Livio, potendo essere quello di Plinio errore dal 4 al 5, per scorso di penna o di stampa.

A principio improntavano sul danaro d’argento le bighe o quadrighe, cioè carri da due o da quattro cavalli tirati, aggiuntavi la nota di «X.» o «S.», secondo che denari o quinari essi erano, onde furon detti «bigati» o «quadrigati»; ed i quinari, dopo che, ad imitazione d’altri della Dalmazia, furono segnati con l’effigie di una Vittoxúa, furono detti «vittoriati»: de’ quali nomi frequentemente usò Tito Livio. Ma dipoi a capriccio de’ provveditori di zecca o, come dicevano, triumviri monetali, furono con vari altri impronti battuti, ed infine cominciò a costumarsi in tutti l’effigie dell’ imperadore: onde Cristo Signor Nostro dimandò a’ farisei maligni di chi era l’effigie della moneta del tributo: dissero: — Di Cesare. — Di questi denari 84 facevano in peso una libbra romana, cioè sette all’oncia; e tali furono battuti anche nel consolato di Cicerone e sino a’ tempi d’Augusto e di Tiberio (i): ma dipoi a poco a poco furono diminuiti, riducendosi prima ad otto all’oncia, all’uso de’ greci, che d’una dramma l’uno li fecero; e successivamente diminuendoli, conforme l’avarizia cresceva e le buone leggi del governo nella decadenza dell’imperio s’andavano perdendo.

Ora, per ridurmi alle cose proposte, il denaro d’argento, che a principio fu valutato per dieci assi di rame o sia dieci

(lí Plinio, xxxiii, 9; Cornelio Celso, v, 17.