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14 l'alitinonfo

considerare ch’avendo riguardo alli prezzi e valori dell’oro e dell’argento usati in questi tempi, ne nascerebbe grandissima disproporzione tanto nel fare le monete sotto tali ordini quanto anco in voler tassare le giá fatte; percioché, quando queste giá fatte fossero tassate dalli contisti sotto il peso greve, riuscirebbe il loro valore nella metá o circa di quello che vagliono di presente (levando però le fatture); come, per essempio, il detto quarto, che vale soldi 33 denari 2 o circa, secondo la real forma, come mostrerò al luogo suo, venirebbe valutato e tassato solamente soldi 16 denari 7. E parimente, quando fossero tassate e valutate sotto il detto peso leggiero, riuscirebbono in valore del doppio; come, per essempio, il detto quarto valerebbe soldi 66 denari 4, ed il simile sarebbe nelle monete che si facessero di nuovo sotto tali ordini; conciosiaché duplicherebbe il loro valore quando fossero fatte e compartite sotto il detto peso leggiero, e cosi si sminuirebbe anco nella metá quando fossero fatte sotto il peso greve, avendo però riguardo alli valori dell’oro e dell’argento usati nei presenti tempi. E similmente ancora nascerebbono disordini nelli valori delle monete, in assai o in poca quantitade, tanto nelle giá fatte che si tassassero quanto in quelle che si facessero, se io avessi eletto e voluto usare una libra piú greve o piú leggiera, o in poco o in assai, di quello che sia la detta di Bologna; avendo (come ho detto) riguardo alli valori dati all’oro ed all’argento in questi tempi, a’ quai valori è la piú accosta la detta libra di Bologna; dalla quale ne nasce la real tassa da me proposta per la sua conformitá, com’è detto.

Ed avvertire si dee che la libra di once dodici è il debito peso col quale si hanno a pesare l’argento e l’oro, e ciò per cagione della real divisione duodenaria, che è numero perfetto; onde si vede che di tal libra Aurelio Cassiodoro il magno ne ha fatto dottamente menzione nella sua opera inscritta Variarum, nel primo libro, a carte 11, nella lettera mandata dal re Teoderico a Boezio, che cosi incomencia: «Licet universis populis generalis sit impendenda iustitia», ecc.; ed anco ne viene da lui accennato nel libro settimo, a carte 173, nel capitolo che