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94 | ecce homo |
rosimili nel febbraio 1883 — la parte finale, quella di cui nella prefazione ho citato alcune frasi, fu terminata proprio nell’ora sacra in cui a Venezia moriva Riccardo Wagner — trovo che occorsero diciotto mesi per la gestazione. Questo numero di diciotto mesi potrebbe risvegliare il pensiero, almeno tra i buddisti, che io sia la femmina d’un elefante.
Al periodo intermedio appartiene la «Gaia scienza» che ha già cento indizi dell’avvicinarsi di qualche cosa d’incomparabile; infine essa contiene il principio del «Zarathustra» e nel penultimo brano del quarto libro essa ne dà il pensiero fondamentale. È pure di questo tempo quell’Inno alla vita (per coro misto ed orchestra) la cui partitura fu pubblicata due anni sono da E. W. Fritsch di Lipsia: un indice forse non senza importanza del mio stato d’animo in quest’anno in cui l’emozione affermativa per eccellenza, da me chiamata emozione tragica, era in me in grado superlativo. Lo si canterà, un giorno, in mia memoria. Il testo — lo noto espressamente perchè circola un errore su questo punto — non è mio: è la meravigliosa ispirazione d’una giovane russa di cui allora ero amico, della signorina Lou von Salomé. Chi è capace di trovare un significato nelle ultime parole della poesia, indovinerà perchè l’ho scelta ed ammirata: c’è, in essa, della Grandezza. Il dolore non è per essa un’obbiezione contro la vita: «Non hai più altra felicità da darmi, ebbene! hai ancora la tua pena...». Forse, anche la mia musica in questo punto ha della grandiosità. (L’ultima nota dell’oboe è un do diesis non do; è un refuso).
L’inverno seguente vissi in quel ridente seno di Rapallo, non lontano da Genova, che s’insinua fra Chiavari e il promontorio di Portofino. La mia salute non era ottima; l’inverno, freddo e straordinariamente piovoso; un piccolo albergo posto immediatamente al mare — sicchè la notte l’alta marea rendeva impossibile il dormire — era quasi in tutto e per tutto il contrario di ciò che si sarebbe potuto desiderare. Malgrado ciò, e quasi a dimostrare il mio asserto che ogni cosa decisiva nasce «malgrado» le circostanze, fu