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9.


Qui non si potrà più fare a meno di rispondere alla domanda «come si diventa ciò che si è». E con ciò, tocco del capolavoro nell’arte della conservazione di sè stessi, dell’egoismo..... Poichè, ammesso che il còmpito, la determinazione, il destino del còmpito, sta ben al di sopra d’una media misura, non ci può essere pericolo maggiore che quello di accorgersi di sè stesso e, insieme, di questo còmpito. Il fatto che si diventa ciò che si è premette che non si deve avere la più lontana idea di ciò che si è. Da questo punto di vista anche gli errori della vita hanno il loro significato e il loro valore, e così pure le vie più lunghe e i giri viziosi, gl’indugi, le «modestie», la serietà, sprecate per còmpiti che stanno al di fuori di quel còmpito. In ciò si manifesta una grande saggezza, anzi a dirittura la massima saggezza; se la ricetta sicura per perdersi fosse «nosce te ipsum», dimenticarsi, misconoscersi, impicciolirsi, restringersi, rendersi mediocri diventerebbe la «ragione» stessa. Per dirla con un’espressione tratta dalla morale: l’amore del prossimo, il vivere per gli altri, ecc. ecc., possono essere le misure precauzionali per la conservazione del più assoluto amore di sè stessi. Quest’è il caso eccezionale in cui io, contro le mie regole e i miei convincimenti difendo gl’impulsi «altruistici»: qui essi operano in favore dell’egoismo, dell’educazione di sè stessi. Bisogna tenere tutta la superficie della coscienza — la coscienza è una superficie — sgombra da qualunque grande Imperativo. Bisogna guardarsi anche dalle grandi parole, delle attitudini eroiche! Poichè esiste il pericolo che l’istinto «si comprenda» troppo presto.

Frattanto, nel profondo, l’idea organizzatrice, l’idea destinata a dominare, a poco a poco cresce, comincia ad imporsi, esce lenta-