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sica», trovo sempre soltanto la parola «Venezia», non conosco differenza tra musica e lagrime; conosco la fortuna di non poter pensare al Sud senza un brivido di paura.


Stavo sul ponte
   or ora, nella notte bruna.
   Di lontano, veniva un canto;
   gocce d’oro scorrevano
   via, sulla superficie tremolante:
   gondole, lumi, musica,
   tutto nuotava, come in un sogno, verso il crepuscolo....
L’anima mia, come un’arpa
   tôcca da mani invisibili, cantava a sè stessa,
   nascostamente, una nenia da gondoliere,
   tremando di varia beatitudine.
   — L’ascoltava qualcuno?....


8.


In tutto ciò — nella scelta dei cibi, del luogo, del clima e delle ricreazioni — impera un istinto di conservazione che si manifesta nel modo più esplicito come istinto d’auto-difesa. Non vedere, non udire, non lasciar avvicinare a sè molte cose, è la migliore accortezza, la miglior prova per dimostrare che non si è un caso, ma una necessità. La parola in uso per designare quest’istinto d’auto-difesa, è «buon gusto». Il suo Imperativo comanda non solo di dir «No» quando il «Sì» sarebbe indizio di «disinteressamento», ma anche di dir «No» il meno possibile. Tenersi lontani, separati da tutto ciò che obbligherebbe sempre a rispondere «No». E ciò per la ragione che le spese di difesa, per piccole che sieno, se diventano una regola, un’abitudine, producono un impoverimento straordinario e affatto superfluo. Le nostre spese grandi sono le piccole ripetute troppo spesso. Il respingere, il non lasciar arrivare fino a noi, è una spesa — non ci facciamo illusioni — è una forza sprecata