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28 | ecce homo |
di vendetta, il metter veleno in ogni pensiero, quest’è per ogni essere esausto il più dannoso modo di reagire, ne deriva un rapido consumo di energie nervose, un impressionante aumento di gravi travasi; per esempio, quello della bile nello stomaco. Il risentimento è la cosa per eccellenza proibita ad ogni malato, ciò che gli fa più male; disgraziatamente è anche ciò cui inclina più naturalmente.
Quel profondo fisiologo che fu Budda lo comprese. La sua «religione», che si potrebbe chiamare più tosto un’igiene, per non confonderla con delle cose compassionevoli come il Cristianesimo, faceva dipendere la sua afficacia dalla vittoria sul risentimento: liberare l’anima da questo, era il primo passo verso la guarigione. «Non per l’inimicizia finisce l’inimicizia, per l’amicizia finisce l’inimicizia»: queste parole stanno al principio della dottrina di Budda. E non la morale parla così: così parla la fisiologia.
Il risentimento, nato dalla debolezza, a nessuno più dannoso che all’uomo debole, è, in altri casi — se si tratta d’una natura forte e ricca — un sentimento superfluo, un sentimento che dimostra, quasi, forza e ricchezza in chi sa dominarlo. Chi sa con quanta serietà la mia filosofia ha impreso la lotta contro il rancore e il desiderio di vendetta perseguitandoli fino nella dottrina del «libero arbitrio» — la lotta contro il Cristianesimo non ne è che un caso speciale — comprenderà perchè io ci tenga a mettere in luce proprio qui il mio modo di comportarmi, la sicurezza del mio istinto nella pratica. Al tempo della decadenza me la proibivo perchè dannosa; come la vita si rifece abbastanza ricca e superba per essa, me la proibii perchè troppo al disotto di me. Quel «fatalismo russo» di cui ho parlato si rivelava in me allora nel fatto ch’io restavo attaccato per degli anni a situazioni, luoghi, abitazioni, compagnie, una volta che mi fossero state offerte dal caso: era sempre meglio che mutarle che sentire che potevano mutare, che rivoltarvi contro..... Allora me la prendevo a morte con chi mi disturbava in questo fatalismo, con chi mi svegliava violentemente: e in verità