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domani mattina. La dimane eransi riuniti, ne aveano deciso l’arresto e rimesso l’ordine, affinchè fosse eseguito, a messer Van Spennen, che erasi assunto, come abbiam visto, tal dovere di degno olandese, ed aveva arrestato Cornelio Van Baerle proprio nel momento in cui gli orangisti dell’Aya arrostivano i pezzi dei cadaveri di Cornelio e di Giovanni de Witt.
Ma fosse vergogna o debolezza nel delitto, Isacco Boxtel non aveva avuto il coraggio di puntare in quel giorno il suo canocchiale nè sul giardino, nè sullo studio, nè sul prosciugatoio.
Ei sapeva troppo bene ciò che andasse a succedere in casa del povero dottore Cornelio per aver di bisogno di guardarvi. Non si alzò neppure, allorquando il suo unico servitore, che invidiava la sorte dei servitori di Van Baerle, non meno amaramente che invidiasse Boxtel la sorte del padrone, entrò nella sua camera. Boxtel gli disse:
— Oggi non mi leverei; mi sento male.
Verso le nove sentì un gran baccano nella strada e rabbrividì a quello strepito; in quel momento era più pallido di un vero ammalato, più tremante di un vero febbroso.
Il suo servo entrò; Boxtel cacciossi dentro le coperte.
— Ah! signore, esclamò il servo senza porre in dubbio che egli, deplorando la disgrazia sopraggiunta a Van Baerle, andava a dare una buona nuova al suo padrone; ah! signore, voi non sapete ciò che ora succede?
— Come vuoi che io lo sappia? rispose Boxtel con voce quasi inintelligibile.