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lante i suoi semi e umettanteli di sostanze destinate a modificarli o a colorirli; e osservavalo attentamente, quando riscaldando certi suoi semi, bagnandoli poi, poi combinandoli con altri con una specie d’innesto, operazione minuziosa e maravigliosamente accorta, chiudeva allo scuro quelli, che dovevano dare il color nero, esponeva al sole o al lume quelli che dovevano dare il color rosso, metteva ad un continuo reflesso dell’acqua quelli che dovevano fornire il bianco, candida rappresentanza ermetica dell’umido elemento.

Questa magia innocente, frutto delle visioni infantili e del genio virile uniti insieme, questa paziente occupazione continua, della quale Boxtel riconoscevasi incapace, faceva sì che l’invidioso versasse nel canocchiale tutta la sua vita, tutto il suo pensiero, tutta la sua speranza.

Cosa strana! tanto interesse e l’amor proprio dell’arte non avevano estinto in Isacco l’invidia feroce e l’assetata vendetta. Qualche volta avendo sotto il suo canocchiale Van Baerle, era preso dalla illusione d’imberciarlo con un moschetto infallibile, e cercava col dito il grilletto per esplodere il colpo che lo doveva uccidere. Ma è tempo che riattacchiamo a quest’epoca delle fatiche dell’uno e dello spionaggio dell’altro la visita, che Cornelio de Witt, ruward di Pulten, faceva alla sua città natale.