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Baerle era amico di tutto ciò che rallegrasse la vista; studiava a fondo la natura per i suoi quadri, finiti come quelli di Gherardo Dow suo maestro e di Mièris suo amico. Non poteva darsi che volendo dipingere l’interno di un Tulipaniere, avesse ammassato nel suo nuovo studio tutti gli accessorii della decorazione?

Intanto, benchè uccellato da questa lusinghiera idea, Boxtel non poteva resistere all’ardente curiosità che lo divorava. Venuta la sera, egli appoggiò una scala al muro a confine e spiando là il suo vicino Baerle, si convinse che la terra di un quadrato smisurato, popolato poco fa di piante differenti, era stata rimescolata e deposta in tante caselle di terriccio mischiato di belletta di fiume, composizione essenzialmente simpatica ai tulipani, il tutto rinforzato di piote per impedirne i riscaldamenti. Inoltre sole di levante, sole di ponente, ombra fatta in maniera da smussare il caldo del meriggio; acqua abbondante prossima, esposizione al sud-sud-ovest, condizioni di necessità di mezzo non solo per la riuscita, ma per il progresso. Non più dubbio, Van Baerle era diventato tulipaniere.

Boxtel figurossi su due piedi quel sapiente dai quattrocentomila fiorini di contante, dai diecimila fiorini di rendita, impiegante le sue risorse morali e fisiche alla cultura in grande dei tulipani. Ne travide il successo in un vago ma non lontano avvenire, e concepì anticipatamente un tal dolore, che le sue mani rilassandosi, le sue ginocchia piegandosi, ei disperato rotolò giù dalla sua scala.

Cosicchè non era pe’ tulipani dipinti, ma pe’ tulipani reali che Van Baerle toglievagli un mezzo gra-