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balconi aperti sul fiume i loro tappeti di seta con fiori d’oro a rilievo, meraviglie indiane e chinesi, e presso la gran linea dei tappeti le reti permanenti per prendere le anguille voraci che attirano intorno alle abitazioni le giornaliere immondezze che le cuoche gettano nell’acqua dalle finestre.

Craeke dal ponte della barca a traverso a tutti quei molini ad ali giranti, scorgeva al declive del poggio la casa bianca e rossa scopo della sua missione. Ella nascondeva i comignoli del suo tetto tra’ fogliami giallastri di una siepe di pioppi, e spiccava dal fondo scuro, che facevale un bosco d’olmi giganteschi. Ell’era situata di tal maniera, che il sole piombando su lei come in un imbuto, vi veniva a prosciugare, intiepidire e fecondare anche l’ultima guazza, che la barriera di verdura non poteva impedire che mattina e sera non ve la portasse il venticello del fiume.

Sbarcato in mezzo all’ordinario andirivieni della città, Craeke si diresse prontamente verso la casa, della quale andiamo a presentare ai nostri lettori una indispensabile descrizione.

Bianca, netta, rilucente, più propriamente lavata, più diligentemente incerata nei quartieri nascosti, che in quelli aperti, questa casa racchiudeva un mortale felice.

Quel mortale felice, rara avis (la Fenice) come dice Giovenale, era il dottore Van Baerle battezzato di Cornelio. Egli abitava la casa da noi descritta fino dalla sua infanzia; perchè era la casa natale di suo padre e del suo nonno, antichi nobili mercanti della nobile città di Dordrecht.