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Il principe si volse e trovossi innanzi il colonnello Van Deken.
— Siete voi colonnello? diss’egli. Non siete ancor fuori di città? È un servirmi adagio.
— Mio signore, rispose il colonnello, ecco la terza porta a cui mi sono presentato, avendo trovate le altre chiuse.
— Ebbene! questo bravuomo ci sta aprendo questa.... Apri, amico, disse il principe al portiere, il quale era restato a bocca aperta sentendo il titolo di mio Signore, che dava il colonnello Van Deken a quel giovine pallido, a cui egli aveva parlato con tanta familiarità. Talchè per riparare al suo errore, affrettossi ad aprire il Tol-Hek, che spalancossi cigolando sopre i suo gangheri.
— Mio signore, vuol profittare del mio cavallo? domandò il colonnello a Guglielmo.
— Grazie colonnello; a qualche passo di qui deve aspettarmi una cavalcatura.
E prendendo un fischietto d’oro dalla sua tasca, cavò da quello strumento, che a quell’epoca serviva per chiamare i domestici, un sibilo acuto e prolungato, al cui echeggiare accorse uno scudiero a cavallo, tenendo un altro cavallo a mano.
Guglielmo saltò in sella senza servirsi della staffa, e spronando guadagnò la strada di Leyda. Giuntovi si rivolse indietro; ma il colonnello seguivalo a rispettosa distanza. Allora il principe gli fece segno che venisse seco del paro.
— Sapete voi, disse senza fermarsi, che quelle buone lame dopo avere ucciso Cornelio hanno anche massacrato Giovanni de Witt?