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III


L’allievo di Giovanni de Witt.


Mentre che gli urli della folla stivata sul Buitenhof, sempre più crescenti, determinavano Giovanni de Witt a sollecitare la partenza del suo fratello Cornelio, una deputazione di paesani era andata, come si è detto, al palazzo comunale, per dimandare l’allontanamento del corpo di cavalleria del Tilly.

Non v’era molta distanza dal Buitenhof all’Hoogstaart; talchè poteva scorgersi uno straniero, che dal momento in cui era cominciata questa scena ne aveva seguiti i dettagli con una certa curiosità, dirigersi con gli altri, o piuttosto di seguito agli altri, verso il palazzo comunale, per sapere con più sollecitudine ciò che si andasse a fare.

Quello straniero era un uomo molto giovine al più di ventitrè a ventiquattro anni, senza apparente robustezza. Nascondeva — senza dubbio con la ragione di non essere riconosciuto — la sua faccia pallida e allungata dentro un fino fazzoletto di tela di Frigia, col quale incessantemente asciugavasi la fronte bagnata di sudore o le sue labbra ardenti.

L’occhio immobile come quello dell’uccello da preda, il naso aquilino e lungo, la bocca sottile e diritta, aperta o piuttosto tagliata come i labbri di una ferita, costui avrebbe offerto al Lavater, se fosse vissuto in quest’epoca, un soggetto di studi fisiologici, che non sarebbero tornati in gran prò della sua scienza.