Pagina:Dumas - Il tulipano nero, 1851.djvu/337


323


— Antonio, ci siamo.

— Mi pare. Vediamo anche un poco.

In questo momento entrava uno lungo, magro, sopra due stinchi secchi come quelli che si dipingono alla morte, con la testa calva a cetriolo e col cappello in mano, che servivagli di ventaglio, per farsi vento alla faccia, che dal nero della cute schizzava un fuoco d’inferno, e il cui occhio sanguigno e incavernato pareva quello della Jena che perseguita la sua preda.

— Tyckelaer, esclamarono in coro li strani avventori della bottega; sentiamo Tyckelaer.

— È tutto fatto, esclamò l’uomo scheletro: dimani faremo festa finita.

— Come? Come? gridarono tutti.

— Come! Che io vi voglia mettere in tavola qui addirittura ogni cosa? Andiamo, e dimani i di Witt requiescant.

Requiescant! sussurrò Cecchino.

E intanto quelle buone lane sgombravano la bottega.

Requiescant! ripeteva contristato. Ecco cosa si guadagna a far bene al popolo.

— Non lo sapevi, gli disse sommessamente Antonio. Questo non è l’effetto della cattiveria dell’uomo ma della ignoranza, in cui è tenuto; chè per generosità più che per malvagità si muove contro chi gli si fa credere suo nemico. E non potendo giudicare con la propria testa, si affida tutto alle buone o cattive impressioni di chi crede amico suo. L’Orange ora se ne serve per le sue mire ambiziose, non badando di sacrificare l’uomo più benemerito dell’O-