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mai più scomparire. Lo vide a sei passi; ne assaporò le grazie e la perfezione; lo vide da dietro le giovinette, che formavano una guardia d’onore a quel re della nobiltà e della purezza. E intrattanto però quanto più assicuravasi co’ suoi occhi della perfezione del fiore, tanto più il suo cuore era lacerato. Egli cercava attorno di sè alcuno per indirizzargli una domanda sola; ma dovunque visi sconosciuti, dovunque intenti col guardo al trono, dov’erasi assiso lo Statolder.

Guglielmo, che attirava l’attenzione generale, si alzò, girò intorno tranquillamente lo sguardo sulla folla esaltata, e il suo occhio prespicace arrestossi a riprese sulle tre estremità di un triangolo formato in faccia di lui da tre scene e tre drammi ben differenti.

A uno degli angoli, Boxtel impaziente e divorante senza battere occhio la persona del principe, i fiorini, il tulipano nero e l’assemblea.

All’altro, Cornelio ansimante, muto, fisso, senza vita, senza cuore, senza amore, se non che pel tulipano nero sua creatura.

Finalmente al terzo, ritta sopra di un gradino tra le vergini di Harlem, una bella Frisona vestita di merino rosso ricamato d’argento, e velata di merletti cascanti in larghe pieghe dalla sua cuffietta d’oro; Rosa finalmente che appoggiavasi palpitante e l’occhio tumido al braccio di un officiale di Guglielmo.

Vedendo allora il principe tutto il suo uditorio disposto, svoltolò lentamente la pergamena, e con voce calma, chiara e benchè fievole senzachè si perdesse un accento in grazia del silenzio religioso che